Le banche italiane sono zavorrate e affondate dal peso delle sofferenze, chiamate in gergo “Npl”, “Not Performing Loans”. Il volume complessivo di questi cattivi crediti è valutato fra i 250 ed i 350 miliardi di lire. Non poco per un sistema bancario già boccheggiante per i margini di interesse molto bassi e per un’efficienza non sicuramente ottimale. Per fare un confronto le sofferenze sono il 17,9% del totale de crediti bancari italiani, mentre un’economia sicuramente non florida come quella argentina ne ha il 1,7%. Per trovare valori superiori ai nostri dobbiamo confrontarci con paesi in guerra, come la Siria.
A cosa è dovuta quest’esplosione degli Npl ? Sicuramente una parte del problema nasce dalla testa, cioè dall’inadeguatezza o dalla corruttela che hanno segnato i consigli di amministrazione di molti istituti bancari italiani, sempre pronti a finanziare gli amici, anche in operazioni azzardate e sicuramente fallimentari e non in grado di leggere i trend economici di lungo periodo. Ma l’incapacità e la disonestà non bastano a spiegare il nostro disastro bancario. In realtà, come spiegava bene la Bce in un documento ufficiale di un paio di anni fa, alla base c’è la mancata crescita, o meglio l’aperta recessione, del sistema economico italiano. La Banca centrale valutava che ogni punto del Pil in calo porta ad un aumento dai 3 ai 6 punti percentuali nelle sofferenze. Dato che siamo ancora ampiamente al di sotto del Pil del 2007 e che, nonostante i vari annunci, non vi sono state crescite significative, ecco spiegato il volume elevato degli Npl. Se si pensa che la mancanza di inflazione non permette di dismettere le sofferenze in modo “naturale”, ecco risolto completamente l’arcano della crisi creditizia italiana.
Nell’ultimo mese, dopo che il Brexit ha reso più acuta la nostra crisi, sono stati espressi alcuni piani informali per la soluzione del problema. I progetti prevedevano l’intervento diretto dello Stato, nei capitali bancari o di Cassa deepositi e prestiti,i come ente che potesse agevolare la dismissione degli Npl. Questo tipo di soluzione ha previsto interventi statali dai 40 ai 150 miliardi nel sistema creditizio.
Il problema è che l’idea attualmente più gettonata è quella socialmente inappropriata. Infatti sinora si è solo parlato di dismettere gli Npl cedendoli a un fondo pubblico o a fondi privati con un intervento dello stato che vada a colmare il gap fra il valore minimo tollerabile dai bilanci bancari e il valore che i fondi avvoltoi sono disposti a pagare. Praticamente lo Stato, direttamente o indirettamente, diventerebbe il tappabuchi del sistema bancario.
Facciamo un esempio numerico: una banca ha 100 milioni di crediti in sofferenza, e li ha già ammortizzati , quindi portati in perdita, per 50. Ammettiamo che questa banca abbia una offerta per cedere tutti questi crediti a 20 milioni, ma che, cedendoli, la perdita che ne emergerebbe, 30 milioni, potrebbe cancellare o rendere insufficiente il patrimonio della banca. Questo rende necessario un intervento, che per ora è stato valutato secondo due vie: con un fondo che acquisisca queste sofferenze ad un prezzo superiore a quello di mercato, ad esempio 30 e quindi o ceda gli stessi poi a 20, coprendo le perdite con fondi pubblici o lasciando vendere a 20 al fondo privato le sofferenze e quindi intervenendo e ricapitalizzando per 10, ad esempio, la banca privata con fondi pubblici.
Entrambe le soluzioni hanno, a parer mio, alcune ricadute negative sul tema del Moral Hazard bancario e dell’impiego socialmente giustificabile delle risorse pubbliche. In questo modo si salvano i consigli di amministrazione indipendentemente dalla qualità del credito che hanno concesso. Con questo intendiamo che si aiutano tutti, senza tener conto del fatto che abbiano concesso prestiti ad amici, amici degli amici, aziende inesistenti, truffe etc etc. Tutto viene sanato, si ingrassano i fondi speculativi . Ora la speculazione è utile, come lo sono i batteri della decomposizione, ma in questo caso il regime premiale di questi fondi, tra l’altro operanti nella massima parte dall’estero, dove pagano le tasse, un po’ eccessiva.
Quindi, a mio parere, esistono pesanti motivazione morali e sociali (due parole poco amate in Europa e nettamente avversate dalla Bce) per evitare di percorrere queste strade. Che fare allora ? La soluzione potrebbe essere suggerita da un programma parallelo e collegato al famoso Tarp messo in atto dalle amministrazioni Bush ed Obama per salvare le banche americane, il piano “Making Homes Affordable”. In questo caso i soldi del Tarp, e successivamente altri fondi federali, sono andati non ad acquistare i titoli delle banche ma direttamente a chi non riusciva a pagare i mutui per evitare che questi divenissero Npl e quindi portassero ai sequestri ed alle vendite all’asta.
Vediamo un esempio pratico applicabile al nostro sistema. Sono una famiglia con un mutuo per 100 mila euro originali, di cui ne ho pagati 3o e ne ho quindi 70 di capitale in atto. Per problemi di lavoro la rata mensile , ad esempio di 1000 euro, non è stata pagata per 18 mensilità, la casa è stata sequestrata e sta per andare all’asta. In questo caso avremmo una perdita per la banca ed un dramma sociale per la famiglia.
Ammettiamo di creare un fondo sociale che intervenga , in accordo tra le parti e paghi le rate arretrate con un accordo per la banca per rifinanziare il mutuo con durata prolungata e con sostanzioso taglio, ad esempio del 25-30%. In questo modo il fondo toglie il debito, comunque ridotto, dagli Npl ed evita che una famiglia finisca in mezzo ad una strada. Il debito rifinanziato come durata e tagliato nell’importo avrà una rata, ad esempio, di 500 euro, affrontabile dal nuovo reddito famigliare.
Quindi quello che ci permettiamo di suggerire è di utilizzare questi soldi per un fondo sociale nazionale che vada ad alleviare e risolvere le situazioni finanziarie di una fetta di famiglie e di piccole attività produttive colpite dalla crisi, impedendo da un lato le vendite all’asta e dall’altro, rendendo le perdite per il sistema creditizio tollerabili senza ingrassare i fondi stranieri, che comunque potrebbero sempre rimpinguarsi con le situazione più legate alle speculazioni immobiliari.
In questo modo avremmo conseguito molteplici risultati: un importante aiuto sociale, un sensibile calo nelle sofferenze e una punizione del Moral Hazard (leggi corruttela) dei cda bancari: infatti chi abbia fatto prestiti a piccole imprese e famiglie verrebbe premiato rispetto a chi abbia fatto finanziamenti ad alto rischio.
Riteniamo che questa ipotesi sarebbe facilmente percorribile, socialmente accettata e potrebbe portare anche ad un sentimento diffuso di sicurezza sociale. Purtroppo è una soluzione che richiede di ragionare un po’ fuori dagli schemi , con coraggio ed intraprendenza, distaccandosi da quei “consiglieri” economici, legati ai grandi fondi, che spesso paiono influenzare un po’ troppo l’azione di governo.