La dignità fondante del lavoro tra realtà e mito. Amazon e la politica degli inutili
Una riflessione a margine della insindacabile scelta di Amazon di tagliare di fatto entro il 2033 circa 600.000 posti di lavoro: poiché non si può mutare ciò che non si conosce e comprende, ecco che con la rottamazione dei lavoratori inutili inizia il processo di rottamazione della politica e degli interpreti di essa, che sin qui hanno millantato di difenderli partendo da un ritratto della sinistra italiana che ben rappresenta il totale deragliamento di quella europea.
Il presente articolo, che per lo più rappresenta la riproposizione di un mio post su Facebook datato 5 dicembre 2020, ha tratto spunto da due notizie di notevole rilevanza per la definizione del contesto in cui inquadrare quanto anticipato dal titolo. Notizie delle quali:
- la prima riguarda la presunta decisione di Amazon di cui nel titolo (e relativamente alla quale può essere sufficiente rifarsi a quanto pubblicato il 21 Ottobre 2025 dal The New York Times che per l’occasione ha alquanto significativamente titolato “Amazon planes to replace more than half a million jobs with robots”.
Anche se la notizia, basata su documenti interni all’azienda e su interviste condotte dal NYT, il giorno successivo è stata riproposta dal The Independent in una chiave leggermente diversa in quanto il colosso della vendita al dettaglio avrebbe semplicemente suggerito che “l’automazione robotica consentirà all’azienda di espandere le vendite al doppio dei prodotti entro il 2033, senza aumentare la forza lavoro negli Stati Uniti”, il succo del discorso resta sostanzialmente valido visto che “una tale revisione porterebbe a più di 600.000 persone che Amazon non avrebbe bisogno di assumere nel prossimo decennio”.
In questo senso la portavoce di Amazon, Kelly Nantel, non avrebbe migliorato le cose allorché alla dichiarazione : “I documenti trapelati spesso dipingono un quadro incompleto e fuorviante dei nostri piani, ed è questo il caso. Nella nostra cultura narrativa scritta, migliaia di documenti circolano in azienda in qualsiasi momento, ognuno con diversi gradi di accuratezza e tempestività” ed “In questo caso, i materiali sembrano riflettere la prospettiva di un solo team e non rappresentano la nostra strategia di assunzione complessiva nelle nostre varie linee di business operative, né ora né in futuro”, ha aggiunto un significativo “Nessuna azienda ha creato più posti di lavoro in America negli ultimi dieci anni di Amazon. Stiamo assumendo attivamente personale presso le nostre sedi operative in tutto il Paese e abbiamo recentemente annunciato l’intenzione di coprire 250.000 posizioni per le festività natalizie”, ovviamente precarie.
Una precarietà che, nonostante tutto, le rassicurazioni non mascherano affatto ribadendo il perdurare dell’impegno di Amazon nell’utilizzare la robotica all’avanguardia per semplificare le operazioni e ridurre i costi in un contesto che vede cambiamenti specifici avvenire nell’azienda a ritmo serrato se è vero, come è vero, che presso gli hub di consegna superveloci di Amazon l’azienda punta a costruire magazzini che impiegano una forza lavoro umana minima: un dato di fatto perfettamente in linea con i documenti del team di robotica dell’azienda che suggeriscono l’obiettivo di automatizzare il 75% delle operazioni in queste strutture.
Merita qui sottolineare che l’impegno di Amazon verso operazioni sempre più efficienti e una maggiore automazione l’ha già resa un pioniere del commercio al dettaglio, imitato da altre aziende. Tanto lascia intendere che con la concreta disponibilità di una robotica più avanzata, le economie di scala suggeriscono che Amazon fungerà da modello per altri importanti rivenditori.
Ora, poiché attualmente Amazon impiega oltre un milione di robot nella sua rete di distribuzione, avvicinandosi sempre più alla sua forza lavoro umana di 1,56 milioni di persone, la maggior parte delle quali impiegate nei magazzini, è facile prevedere quale sarà il futuro occupazionale per milioni e milioni di persone.
- la seconda riguarda le indiscrezioni emerse con riferimento alla possibile vendita del gruppo editoriale GEDI (controllato dalla Exor degli Elkann–Agnelli)– che possiede La Repubblica, La Stampa e altri asset editoriali– ad un gruppo greco: una notizia che ha generato nel panorama nazionale una progressiva ondata di panico nel Partito Democratico imputabile al fatto che John Elkann, grazie agli ottimi rapporti con la Premier Giorgia Meloni e con il ministro del Made in Italy Adolfo Urso (vedi incentivi alle auto elettriche), non solo non sembra avere più bisogno di giornali di opposizione alla maggioranza di Centrodestra, ma addirittura abbisognerebbe di ottimi rapporti con l’esecutivo. Un qualcosa che oltre a qualificare le motivazioni, il taglio e il livello del populismo della testata, evidenzia tutta l’illusorietà del presunto progressismo della cosiddetta sedicente sinistra
Nello specifico, quantunque ad oggi non vi sia stata alcuna ufficializzazione della cessione, diverse fonti giornalistiche quali, ad esempio, Affari Italiani, ma pure su il Foglio ed Open, hanno riferito che il gruppo Gedi, ed in particolare Repubblica, dovrebbe passare nelle salde mani di un gruppo greco –gruppo già di per sé poco noto e la cui crescita sarebbe stata sostenuta da finanziamenti arrivati da quell’Arabia Saudita che ora potrebbe indirettamente mettere piede in Italia– facente capo ad un certo Kyriakos Kyriakou, un fantomatico imprenditore descritto come editore di Antenna TV, emittente fondata nel 1988, vicino al primo ministro greco conservatore Kyriakos Mitsotakis.
Una vicinanza che, a detta della Segretaria del PD, Elly Schlein, potrebbe creare alla sinistra italiana non pochi problemi che discenderebbero direttamente dai presunti apparentamenti politici della nuova proprietà guidata dal summenzionato Kyriakos Kyriakou. Apparentamenti che a detta della Schlein potrebbero condurre alla deprivazione del PD e di Elly Schlein della ben nota cassa di risonanza mediatica: una cassa di risonanza oltretutto irrinunciabile in vista delle elezioni politiche del 2027 che, ad ora, vedono decisamente favorita la Meloni.
Peccato che tutta la polemica alla fine non sortisca altro risultato che mostrare, casomai ce ne fosse ulteriore bisogno, tutta l’inconsistenza della presunta sinistra italiana sia per quanto già evidenziato e sottolineato dati alla mano, che per quanto da tutto quanto riferito finisce per gettare una tetra ombra sia sul giornalismo nostrano che sulla dirigenza politica del principale partito di opposizione in quanto, e qui viene il bello, non è dato capire chi in realtà sia il presunto editore Kyriakos Kyriakou, personaggio avvolto da un alone di mistero in quanto nessuna fonte ufficiale o documentazione aziendale accredita una figura con questo nome all’interno del gruppo mediatico greco Antenna Group. Nello specifico le fonti più autorevoli indicano invece come fondatore il magnate Minos Kyriakou, e come attuale presidente il figlio Theodore M. Kyriakou. Di “Kyriakos Kyriakou”, invece, nessuna traccia nelle biografie ufficiali, nei registri d’impresa o nei media internazionali.
Un fatto, questo, che quantunque possa essere ascritto ad una confusione linguistica o, più banalmente, ad un errore giornalistico, forse legato alla somiglianza tra i cognomi greci, non toglie che in mancanza di conferme, il personaggio resta un fantasma editoriale, un nome evocato ma mai documentato, che rende la polemica montata dalla segretaria del PD italiano significativa dello stato confusionale in cui versa non tanto il Partito, ma la sinistra in genere, nazionale o europea che sia. Tanto per non parlare della stampa italiana che è evidentemente popolata da fin troppi personaggi che manco ci provano a verificare ciò di cui parlano.
Da ciò la domanda: ma se questo è il modo di fare giornalismo e politica, che credito possiamo dare alle campagne stampa di sensibilizzazione su questo o quel problema? Quale attendibilità hanno le presunte analisi sui conflitti in corso, sul presunto genocidio a Gaza, sulla realtà del conflitto ucraino, e su mille altre questioni che coinvolgono pesantemente un’opinione pubblica costruita a forza di dichiarazioni e prese di posizione basate sul nulla eterno?
Che credito dare ad un partito che si mobilita a fronte di non si sa bene cosa? Perché alla fine leggere, come chiunque può verificare, dei mitici attivisti Democratici impegnati a tutto campo per scongiurare la vendita di Repubblica al greco vicino al Centrodestra appare a dir poco ridicolo.
Tanto più ridicolo allorché si tocca con mano a partire da cosa alte si sono levate le influenti voci che hanno parlato di contatti con imprenditori come Carlo Feltrinelli o Brunello Cucinelli per sollecitarli a fare la loro parte per salvare la libertà di stampa ed il pluralismo informativo. Tanto per non parlare del fatto che qualche settimana fa ex ministri del Pd avrebbero sí interpellato banchieri ed editori per capire se la notizia della cessione fosse vera, ma non sono andati oltre: sicché viene spontaneo chiedersi se questo è il modo con cui questi signori intendono dare il cambio alla Premier Meloni.
Quella Meloni che governa e continuerà a governare nonostante gli innumerevoli errori, le inefficienze e le incertezze in tema di politica estera ed interna costantemente a lei imputati a gran voce da quelle forze politiche di opposizione che sin qui si sono sistematicamente evidenziate solo per la drammatica incommensurabile pochezza di cui hanno fatto mostra ad ogni piè sospinto, e che solo sa vivacchiare riciclando il linguaggio anemico di contenuti di una sinistra morta e sepolta da un pezzo.
Di quella sinistra che a causa della ben poca lungimiranza e, tutto sommato, della ancora più carente onestà intellettuale si trova ora, obtorto collo, a dover ammettere che difficilmente gli imprenditori italiani tradizionalmente vicini al PD si metteranno a investire le ingenti risorse necessarie per rilevare un giornale che fa la guerra ad un Governo che, stando ai sondaggi, verrà riconfermato fino al 2032.
Per non parlare del fatto che da lunga pezza, oramai, la sola opposizione che ha fatto è stata quella funzionale agli interessi –e quindi per conto e su licenza– di quegli Agnelli che precedentemente, per decenni, hanno rappresentato nell’immaginario collettivo dei propri elettori il nemico di classe per antonomasia, prima di finire sul loro libro paga. Come del resto molti altri ben noti beniamini della sinistra che la propria fortuna l’hanno fatta sulle reti Fininvest.
Date le premesse, che nel lontano 2020 erano in fieri e/o palesi a ben pochi, e da ancora meno dibattute con legittima preoccupazione, seppure consapevole che comunque sia attualmente i più continuano a preferire dare credito alle rassicuranti bugie che all’amara verità, ecco che per quanto consapevole delle reazioni che quanto segue produrrà, non posso esimermi dal sottolineare con rinnovato vigore che quello del valore fondante del lavoro è oramai solo un mito costituzionale privo di qualsiasi forza politica in tutto il mondo occidentale, anche se per certo non è stato sempre così.
Per convincercene basta anche solo pensare a quanto ha preso le mosse a partire dalla Prima Rivoluzione Industriale e si è poi ulteriormente sviluppato a seguito della Seconda Rivoluzione Industriale, ovverosia a quel fattivo fermento che all’epoca avrebbe fatto comprensibilmente, più che giustamente, apparire ai più financo il solo titolo di questo articolo come il frutto bacato di un qualche delirio egocentrico avulso dalla realtà..
Tuttavia se andiamo indietro con la mente alla società pre Rivoluzione Francese non possiamo non notare che in quel contesto il potere politico esercitato dalla classe dominante, la nobiltà, non era in alcun modo una conseguenza del potere economico, e men che mai del lavoro. Il potere della pigra nobiltà dell’epoca non era un potere di censo ma di nascita, un potere che per la nobiltà minore discendeva dal Re o dall’Imperatore, cui a sua volta era conferito direttamente da Dio per tramite del suo manifesto Vicario in Terra, o da un suo emissario.
A nessun borghese, a nessun ‘eroe’ del lavoro, era concesso questo privilegio per quanto ampie fossero le sue sostanze, sicché fu necessaria una Rivoluzione preceduta dalla lunga teorizzazione illuministica per arrivare ad affermare il valore del danaro come di un qualcosa che non solo fosse strumento per esercitarlo, ma pure ragion valida per vederselo riconosciuto.
Purtroppo il passaggio è stato per troppo tempo mascherato dalla retorica e dal mito di un protagonismo popolare cullato dalle note della Marsigliese
In molti miei scritti posso apparire freddo, incline al catastrofismo, quasi ossessionato da una sorta di fredda ostentazione di una razionalità che quasi si bea di infliggere sofferenza in chi mi legge cercando di trovarvi un qualcosa che alimenti la speranza in una rinascita, in un ripristino valoriale, in una soluzione dei principali problemi.
Purtroppo nulla di tutto questo mi muove se non la radicata ed incontrovertibile convinzione che nulla può essere mutato in assenza di un quadro definito e dettagliato che ritragga la situazione per quello che è e non per quello che si vorrebbe o si auspicherebbe fosse a breve.
Le letture socialisteggianti che a vario titolo oggi imperversano negli slogan e sulle pagine dei vari “illuminati” del momento, ma –ahimè– pure nelle parole di talune menti migliori, tralasciano di considerare (i primi per crassa ignoranza ed i secondi per romantica disposizione d’animo) che lo stesso Marx non formulò il suo manifesto politico prima della sua tecnicissima analisi economica contenuta nel suo “Das Kapital”, così come il suo “Das Kapital” non venne scritto prima della Rivoluzione Industriale ma solo dopo che questa ebbe prodotto i suoi frutti ed evidenziate le sue contraddizioni.
Tanto affermo perché molti splendidi discorsi che a vario titolo mi giungono risentono del fatto che la lettura dell’oggi viene fatta, magari pure in chiave populista, inforcando pervicacemente gli occhiali del socialista: un qualcosa che ai tempi di Marx poteva essere foriero di lungimiranza ma che oggi, a oltre 170 anni di distanza, appare più un accrescitivo della presbiopia e della miopia incipienti. E se alla mancanza di prospettiva storica aggiungiamo pure l’aggravio di una chiave di lettura obsoleta stiamo freschi.
Purtroppo la rotondità della Terra a suo tempo poteva essere apprezzata solo in due modi :
- con una analisi logica di fatti e circostanze desumibili da una speculazione condotta con mentalità scientifica scevra da condizionamenti religiosi, ovvero
- attendendo il favorevole momento in cui la tecnica avesse consentito di elevare a dismisura il punto di osservazione esperienziale: un fatto, questo, che ci avrebbe fatto perdere secoli e secoli e secoli per poter arrivare ad avere una conoscenza esperienziale della cosa.
In altri termini, continuare a leggere l’oggi con strumenti vecchi di 170 anni, e senza quindi tener conto del perché del fallimento storico del Comunismo e delle sue varianti populiste, ostinandosi ad inforcare quegli stessi “occhiali”, e quindi ad utilizzare quei filtri di lettura che già hanno fallito ripetutamente, non può che condurre ad un ulteriore e ben più grave tracollo in nome di una mistica francescana che, mutatis mutandis, come quella si ostina a guardare al Papa come al Vicario di Cristo in Terra piuttosto che al CEO di una struttura politico economica a carattere multinazionale.
In un tale contesto il suffragio universale, invocato come la chiave risolutiva per mezzo della quale addivenire ad mutamento radicale del corso degli eventi è una pia illusione, e questo per una semplice ragione storica: il suffragio universale attuale è solo lo strumento che è stato via via concesso in forma sempre più allargata a chi doveva e deve produrre, a chi è –e già era esso stesso– merce ed acquirente, al solo scopo di offrirgli l’illusione di contare qualcosa, ovverosia al solo scopo di concedergli una valvola di sfogo della pressione che le tensioni sociali potevano e possono produrre come conseguenza di una presa di coscienza lenta, perché non speculativa ma esperienziale, ma inesorabile della propria condizione e, proprio per questo, ancor più caratterizzata da potenzialità esplosive.
Allo stesso modo l’incompetenza che oggi come oggi vedo pure in coloro che occupano posizioni di vertice non è incapacità decisionale, ma il frutto dello speculare filtro di lettura degli eventi: quello capitalistico di stampo globalista che al momento a ben poco serve per interpretare e mutare il corso degli eventi, è ciò pure quando lo si vuole presentare sotto le mentite spoglie di un socialismo con caratteristiche cinesi buono al più per millantare un terzomondismo di facciata targato BRICS.
Chê alla fine ciò che contava, ed ancora conta, è solo la plusvalenza, ovverosia il frutto per antonomasia di ogni processo economico: quel frutto che persino Marx non ha messo in discussione –ed in ciò risiede il limite del suo approccio teoretico–, limitandosi ingenuamente a farne discendere la presunta valorialitá dall’uso fatto, senza minimamente criticarne le modalità di conseguimento che restano le medesime.
E siamo al nodo lavoro
Il lavoro, inteso anche solo come lo era 40 anni fa, non esiste più.
Le grandi masse operaie di un tempo sono pressoché scomparse e sono state sostituite sempre più da macchine ed automi gestiti da processori, computer, circuiti dedicati, PC ….. e via discorrendo …. il che ha tolto peso e rilevanza al lavoro manuale di basso profilo e di conseguenza forza contrattuale e politica a chi lo svolge.
È così che nel contesto della globalizzazione masse sempre più ampie di persone, la cui consistenza numerica l’AI Revolution solo promette di far ulteriormente lievitare a dismisura a livello globale nel giro di pochi lustri, risultano attualmente costituite da “inutili” poiché superflui sono diventati, ed ancor più diventeranno, i loro ruoli e posizioni nelle moderne strutture produttive, ovvero sostituibili da altri nei luoghi in cui le produzioni sono state basate.
E queste masse, sempre più preoccupate per il loro futuro, sono sempre più facile preda di coloro che millantano facili soluzioni paventando poteri catartici di una emancipazione dall’Euro, ovvero un fantasmagorico ripristino di una salvifica imprenditorialità di Stato che allo stato attuale lascia il tempo che trova in quanto lo Stato che producesse beni avocando a se il ruolo dell’imprenditore pachidermico pre-globalizzazione avrebbe breve vita , a patto che fosse in grado di vedere la luce: tanto per non parlare delle follie programmatiche di una jihad politica che oggi va promettendo a centinaia di milioni di parsone nel mondo un presunto riscatto ottenibile con l’annientamento dell’odiato giudeo, e la sottomissione dell’Occidente in un contesto teocratico che nulla di meglio e di più potrà fare di quanto a suo tempo l’oscurantismo cattolico ha regalato al mondo da esso dominatore soggiogato.
I complottisti fanno un gran parlare di NUOVO ORDINE MONDIALE, riempiono il web ed i social di “rivelazioni” e non si accorgono che il NUOVO ORDINE MONDIALE, lungi dall’essere la Globalizzazione, sta per mutarsi in un dominio assoluto esercitato da parte di chi l’AI gestisce e controlla. È ciò nonostante abbiano il tutto sotto il naso, lo abbiano visto nascere, crescere e svilupparsi sotto i propri occhi mentre erano e continuano ad essere affaccendati a fare non si sa bene cosa e perché e con chi e dove sotto la guida delle presunte leadership del momento: e poco importa che esse pretendano di essere di presunto Governo o di presunta opposizione.
Tutto quello da cui i vari personaggetti della politica partono per lanciare i loro proclami non esiste più. Ed i più persi e disorientati sono gli inguaribili sognatori della vecchia sinistra politica, quelli che nelle loro menti ancora incarnano e cullano, a parole, i sogni degli ideali degli anni che furono e precedettero il crollo del Muro di Berlino in quel lontano 1989.
La loro ideologia fu gregaria allora ed ancora lo è ma con l’aggravio del fatto che quel ruolo subalterno negli ultimi decenni ha perso completamente un qualsiasi peso dialettico e politico degno di questo nome .
La originalità del loro pensiero non è mai esistita, ed infatti senza le macchine non avremmo avuto la rivoluzione industriale, senza questa non avremmo avuto la fabbrica, la catena di montaggio e l’urbanizzazione di necessario supporto a quelle.
Senza la meccanizzazione non vi sarebbe stata la necessità di istruire le masse insegnando loro a leggere e far di conto, così come pure senza l’urbanizzazione non vi sarebbe stata la necessità di contenere la pressione delle istanze sociali avviando processi di scolarizzazione di massa che propagandisticamente educassero i futuri cittadini alla fede nell’assetto sociale borghese.
Il Socialismo non ha in se nulla di originale e da sempre va a rimorchio del capitalismo nella dialettica come nella pratica poiché nel suo progetto politico non c’è critica alcuna all’economia di scala e di mercato, impegnata ancora come è cercare di realizzare un impossibile capitalismo dal volto umano.
Ora tutto questo apparato fantasmagorico è venuto meno con la globalizzazione che entro i confini dei Paesi capitalisti ha lasciato per lo più le attività inutili e di contorno al capitalismo industriale.
Gli unici lavori rimasti nei Paesi ex culle del capitalismo sono quelli del terziario, quelli denominati “servizi”, e che da un certo punto di vista rappresentano solo una appendice improduttiva finalizzata a soddisfare esigenze non primarie che favoriscono la ridistribuzione della ricchezza prodotta da chi gestisce ed opera nei settori primari.
Nel momento in cui questi sono però delocalizzati all’estero che cosa ridistribuisce il terziario? E nel momento in cui le ex maestranze, o aspiranti tali, protestano ed incrociano le braccia … lo fanno contro chi? O ancora continueranno a farlo pro-Gaza o pro-Flotilla giusto per illudersi di fare qualcosa di politico sotto la guida di chi si batte solo per mantenersi saldamente ancorati alle poltrone di aule parlamentari che decidono sempre meno.
Fanno sciopero ? Ma ha ancora senso parlare di sciopero ? Lo sciopero è stato uno strumento di lotta politica ma di matrice economica, la via per mezzo della quale manifestare una forza reale …. : ma ora ? E quando le masse scendono in piazza per chiedere lavoro lo chiedono a chi ? Ai politici rimasti a “casa” ? Se solo ci di rendesse conto di questo sarebbe facile capire il vuoto demagogico delle risposte della politica nostrana in senso lato, che si concretizza nella creazione di posti di lavoro fittizi remunerati a debito .
MES o NON MES, Eurobond o non Eurobond. PNNR o non PNNR… questi strumenti sono solo elementi di indebitamento che producono derivati finanziari che sono “scommesse” sul tracollo o la tenuta di questo o quel settore di questo o quel Paese.
Il mondo automatizzato è una realtà ineludibile, piaccia o non piaccia, e l’aspetto comico della intera vicenda è che tutto l’Occidente può farsi tutte le seghe mentali che vuole sulle decrescite felici e le autarchie più disparate senza arrivare da nessuna parte perché i centri decisionali non sono più qui e per certi versi manco in Cina, o in Russia, o in Europa ovvero nella terra dell’aspirante deus ex machina Donald Trump per la sola ragione che così procedendo le cose il mondo sta andando alla deriva in un oceano informatico che rischia di non essere più in grado di controllare.
Forse una luce brilla nella sola inascoltata India, ma pochi sembrano interessati a prenderla in esame ed i più solo a controllarla o spegnerla.
Fonti:
9 https://www.affaritaliani.it/politica/stelllantis-elkann-repubblica-pd-989396.html?refresh_ce
11 https://www.open.online/2025/10/14/repubblica-vendita-gruppo-kyriakou/?utm_source=chatgpt.com
12 https://www.open.online/2025/10/14/repubblica-vendita-gruppo-kyriakou/?utm_source=chatgpt.com
14 https://www.wikipedia.org/wiki/Antenna_Group ; https://www.wikipedia.org/wiki/Minos_Kyriakou ; https://www.antenna-group.com/theodore-m-kyriakou/ ; https://www.c21media.net/news/antenna-mourns-founder-kyriakou/
