Ghassan Salamé getta la spugna e abbandona la Libia che sprofonda ulteriormente nel baratro. L’inviato dell’Onu per la gestione della crisi nel paese nordafricano si è dimesso il 2 marzo 2020, ufficialmente per motivi di salute, e si apre così la corsa per individuare il successore. Ma chi vorrà subentrare in un ruolo difficile e complicato come quello della stabilizzazione della Libia. Gli sviluppi nel Paese sono quotidiani e al momento regna il caos. Salamè ha fatto quello che ha potuto, confrontandosi con le parti incostanti e che non hanno mai dato un serio segnale di voler risolvere i problemi. Ma adesso l’inviato dell’Onu ha deciso di non “stressarsi” ancora e lascia che sia un altro a giocare la difficile partita in Libia.
Tutto è accaduto nel silenzio generale, ma certamente la notizia delle dimissioni non ha sorpreso la comunità internazionale già intenta alla ricerca di un successore.
E adesso l’Italia che farà? L’occasione potrebbe essere favorevole per indicare un italiano per questo ruolo delicato ma fondamentale per il nostro Paese visti i legami con la Libia, gli interessi economici in gioco e il tema immigrazione. Ma all’interno della comunità internazionale abbiamo il giusto peso per imporre un nostro candidato? Eppure, qualcuno ci sarebbe si sussurra in certi ambienti dove si fa il nome di Minniti, l’ex ministro dell’Interno che durante il suo mandato ha lavorato sulla questione libica. Ma i giochi con si fanno a Roma e Roma, in questo momento, forse non è così forte per portare a casa la partita.
Nel silenzio quasi generale, soprattutto in Italia dunque, l’ennesimo mediatore in Libia alza le mani e lascia. Salamè ha chiesto al segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, di sollevarlo dall’incarico augurando “alla Libia pace e stabilità”. “Per due anni ho cercato di riunire i libici, frenare le interferenze esterne e preservare l’unità del Paese. La mia salute – ha scritto su Twitter – non consente più questo livello di stress”. Ma forse si è solo stancato dei continui tira e molla della parti. Infiniti cambi di idea, nessuna prospettiva e troppe ingerenze straniere hanno sfiancato anche uno come Salamè che dalla sua aveva un curriculum di peso e la capacità di dialogo.
La situazione in Libia, dunque, è sempre più drammatica. La presenza turca, a sostegno del governo riconosciuto dalla comunità internazionale e guidato da Fayez al Sarraj, ha contribuito a destabilizzare ulteriormente il già precario equilibrio. L’avanzata verso Tripoli del generale Khalifa Haftar, proprio per la presenza di Ankara, è stata in parte rallentata. Ma l’obiettivo dell’uomo forte della Cirenaica rimane. La spaccatura è profonda e chi cerca punti di riferimento potrebbe non trovarli. Il generale Haftar continua a chiedere lo smantellamento dei miliziani di Tripoli, che pare si siano infiltrati anche all’interno dell’intelligence libica. E anche il ministro dell’Interno, Fathi Bashaga, comincia a mostrare una certa intolleranza verso i gruppi.
Intanto, il rischio terrorismo in Libia non è più solo un’ipotesi giornalistica. Nella Relazione che i servizi segreti hanno presentato al Parlamento, è stato messo nero su bianco come la jihad in quei territori rappresenti un vero allarme. L’attenzione dell’intelligence è su “taluni effetti collaterali del conflitto, verosimilmente destinati a sopravvivergli: l’afflusso di importanti aliquote di mercenari stranieri; la ripresa dell’attivismo di Daesh nel Sud; il rischio dell’emergere di rotte che, attraverso l’hub sudanese, si prestano ad essere sfruttate per condurre i returnees africani dal teatro siro-iracheno verso le aree desertiche meridionali”.
Tutto questo rende, se possibile, la Libia ancora più incandescente. Le trattative per nominare il successore di Salamè sono in corso e ancora una volta la Francia tenterà di piazzare il suo uomo a discapito degli interessi italiani.