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Gli insegnanti francesi disarmati di fronte alla pressione islamista
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Gli insegnanti francesi disarmati di fronte alla pressione islamista

A tre mesi dall’uccisione di Samuel Paty, nelle scuole nulla è cambiato

12/01/2021 7:31 PM Francesca Musacchio comments

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Gli insegnanti francesi disarmati di fronte alla pressione islamista. A tre mesi dall’uccisione di Samuel Paty, il professore sgozzato per aver parlato in classe di libertà di espressione mostrando le vignette di Charlie Hebdo, in Francia la scuola trema. L’estremismo islamista e quindi il separatismo islamico, si sono infiltrati nella scuola al punto da mettere alla berlina gli insegnati che, a volte per paura, non denunciano le pressioni o le minacce subite dai genitori e sono costretti a cambiare la didattica per non offendere l’Islam.

Una follia, che però si consuma quotidianamente nelle classi di un Paese che ha avuto la forza di decapitare il Re. Oggi, però, ad essere decapitati sono i suoi docenti quando parlano di laicità o libertà di espressione. 

Sulle pagine di Le Figaro, che nell’edizione di oggi 12 gennaio 2021 dedica all’argomento l’apertura del giornale, per analizzare il fenomeno partendo dai dati dell’indagine svolta tra il 10 e il 17 dicembre 2020 dalla Fondazione Jean Jaurés secondo cui “il 49% degli insegnanti intervistati afferma di essersi già autocensurato nell’insegnamento delle questioni religiose durante la propria carriera per non provocare possibili incidenti in classe”, il 13% in più dal 2018; più della maggioranza degli insegnanti afferma di aver già osservato da parte degli studenti, almeno una volta, una forma di protesta in nome della religione nella propria classe, in materie diverse come l’educazione fisica e lo sport (27%), durante le lezioni sulla laicità (26%) o durante corsi di educazione sessuale o corsi dedicati all’uguaglianza ragazza-ragazzo o agli stereotipi di genere (25%). Ma non solo. Il 59% degli insegnanti afferma di aver già osservato almeno una volta una qualche forma di separatismo religioso da parte degli studenti che si è manifestata sotto la forma di assenze di giovani ragazze dai corsi di nuoto, con o senza certificato (45%), di richieste che non venga servita carne con verdure nei piatti degli studenti (35 %) o rifiuto di entrare in luoghi di natura religiosa (come le chiese) durante le gite scolastiche (28%).  

L’argomento non è relegato alla riflessione di pochi addetti ai lavori, dunque, ma diventa centrale anche su alcuni quotidiani sfidando la retorica (presentissima in Italia) del razzismo e dell’islamofobia. Parole che invece, se abusate come accade nel nostro Paese, aiutano l’estremismo islamista a proliferare dal basso, e quindi nelle scuole, attraverso la censura di argomenti scomodi alla visione oscurantista di un certo Islam. Un tema che dovrebbe essere affrontato anche in Italia se non si vuole arrivare a fare la fine della Francia che per troppi anni ha ignorato gli allarmi al riguardo.

A tal proposito, nell’editoriale pubblicato su Le Figaro e firmato da Laurence de Charette, direttore della redazione online, si legge: “Il lavoro della Fondazione Jean Jaurés stabilisce ciò che tutti, in realtà, stanno sabotando senza ammetterlo: dalle mense ai contenuti della didattica, attraverso il calendario e l’organizzazione dei corsi, alla regressione della condizione della donna, la pressione dell’islamismo radicale è onnipresente: oggi è penetrato e troppo spesso ha ridotto in schiavitù la scuola in tutti i settori, si è infiltrato attraverso tutti i suoi pori.Vent’anni fa professori e ispettori denunciavano nel vuoto l’ondata di oscurantismo, antisemitismo, relativismo, violenza nelle classi. Di fronte alla pressione dei parenti, al rifiuto della nazione, all’eroizzazione dei jihadisti, gli insegnanti cercano ancora a chi appoggiarsi”. L’attacco è rivolto anche al presidente Emmanuel Macron che, dopo la morte di Samuel Paty, aveva promesso di non abbandonare la battaglia contro il separatismo islamico anche in memoria di un uomo “morto perché aveva scelto di insegnare”.

E oggi, i francesi che non vogliono abbracciare “l’islamismo di sinistra”, ricordano a Macron che dalla morte di Paty “nulla è cambiato”. 

La Francia, dunque, è ad un bivio: difendere i valori della Repubblica, della laicità e della libertà di espressione, oppure cedere al fondamentalismo islamista e ripiombare nel Medio Evo? Gli insegnati francesi sono la prima linea che tenta di combattere il dilagare del separatismo islamico a difesa della laicità, ma a caro prezzo. Molti, infatti, temono per la propria vita e spesso le denunce di pressioni o contestazioni subite non arrivano neanche ai dirigenti scolastici. La situazione è più o meno uguale in tutto il paese, anche se i problemi si acutizzano nelle periferie operaie, nelle istituzioni classificate REP (rete educativa prioritaria) e in alcune grandi aree regionali come l’Île-de-France e il sud-est. Gli insegnanti che lavorano nelle periferie densamente abitate dalla classe operaia, dunque, incontrano maggiori difficoltà. Qui i professori che segnalano, durante la loro carriera, almeno una forma di contestazione in nome della religione raggiungono il 57% (contro una media del 53% ).

In generale, l’80% degli insegnanti intervistati (l’indagine ha coinvolto 801 insegnanti della scuola primaria e secondaria) afferma di essersi già confrontato almeno una volta con una rivendicazione relativa a credenze o pratiche religiose. Si tratta quindi di quattro professori su cinque che, nel corso della loro carriera, affermano di aver dovuto fronteggiare esigenze religiose con richieste di vario tipo: il 65% degli insegnanti dichiara di essersi già confrontato con assenze legate all’esercizio del culto o alla celebrazione di una festa religiosa, il 47% con richieste di pasti ‘religiosi’ (es. halal, kosher) nelle mense, il 40% delle ragazze assente da corsi di educazione fisica e sport (con o senza certificato medico), in particolare alle lezioni di nuoto (il 45% degli insegnanti si è già confrontato con questo problema durante la carriera), il 28% al rifiuto di entrare in luoghi di carattere religioso (ad esempio le chiese) durante le gite scolastiche, il 25% con richieste di proseguire gli studi a casa o in un istituto confessionale privato, il 21% al rifiuto di dare la mano a qualcuno in nome di convinzioni religiose (ad esempio in caso di sport o gite scolastiche).

Tutto questo, dunque, apre un fronte di rischio per la sicurezza nazionale francese e non solo. Se è vero che la guerra contro il terrorismo islamista è una guerra asimmetrica, è altrettanto vero che le democrazie occidentali sono vittime delle loro stesse “regole democratiche” che non sono in grado di fronteggiare un nemico così subdolo in quanto spesso e volentieri si alleano con esso.  

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