Gli Stati Uniti sono entrati ufficialmente in guerra contro l’Iran. Poco dopo le 2 di questa notte, bombardieri Stealth B-2 Spirit dell’USAF hanno sorvolato il Golfo Persico lanciando un attacco coordinato con circa 12 ordigni GBU-57 MOP, su tre dei più importanti siti nucleari iraniani: Fordow, Natanz e Isfahan. In aggiunta, i B52 USAF hanno completato l’operazione su siti ritenuti minori ma, nel complesso, significativi per i depositi sotterranei di armamenti. Inoltre, 30 missili da crociera Tomahawk, lanciati da sottomarini statunitensi, hanno completato l’operazione.
Il Presidente Trump ha dichiarato: “Abbiamo completato con successo un attacco contro gli impianti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan; è tempo di pace. Qualsiasi risposta iraniana contro gli Stati Uniti incontrerà una risposta militare ancora più potente. Ci sono molti altri obiettivi”.
Ma la rappresaglia iraniana non si è fatta attendere. Missili balistici hanno colpito Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme provocando il crollo di due edifici residenziali ed il ferimento di 20 civili, mentre l’IAF ha rilanciato nuovi bombardamenti su obiettivi militari iraniani.
L’operazione degli Stati Uniti in Iran: chirurgia di potenza
Secondo quanto comunicato dalla Casa Bianca, l’attacco è stato pianificato con Israele e autorizzato da Trump dopo l’ultimatum non rispettato da Teheran. Il raid ha visto l’impiego delle bombe bunker-buster GBU-57, in grado di penetrare impianti interrati a decine di metri nel sottosuolo. L’operazione è durata meno di un’ora, ma le sue conseguenze si preannunciano di lunghissima durata.
La CNN riporta che Trump ha bleffato quando ha detto che si prendeva 2 settimane per decidere se attaccare o meno, facendo intendere che dipendeva dalla disponibilità di Teheran alla trattativa. In realtà, l’attacco era già stato preparato con largo anticipo in stretto coordinamento con Gerusalemme.
Il Pentagono ha voluto colpire solo infrastrutture nucleari – non palazzi governativi, non basi convenzionali – nel tentativo di lanciare un messaggio: “Non vogliamo cambiare il regime, vogliamo chiudere la partita del nucleare”.
Iran: “Un atto di guerra barbarico”
Teheran ha definito l’attacco un crimine contro il diritto internazionale. Secondo fonti governative, almeno 430 morti e 3.500 feriti sono il bilancio parziale dell’aggressione americana, un numero che include anche le vittime dei raid israeliani dei giorni precedenti. I Pasdaran parlano esplicitamente di “guerra totale” e minacciano di colpire ogni base americana nel Medio Oriente. Dallo Yemen, gli Houthi promettono vendetta. Hezbollah ha detto di essere in stato di mobilitazione. La TV di Stato iraniana ha definito “ogni cittadino americano nella regione un obiettivo legittimo”.
L’ingresso diretto degli Stati Uniti nella contro l’Iran
Israele aveva iniziato l’offensiva il 13 giugno scorso, in quella che ha definito “una campagna preventiva” contro il programma nucleare iraniano. Attacchi aerei, uccisioni mirate, sabotaggi. Ora gli Stati Uniti sono pienamente coinvolti. Formalmente non esiste una dichiarazione di guerra, ma la realtà è evidente. Trump ha ribadito che “non cerca un conflitto più ampio”, ma ha anche avvertito che “se l’Iran non sceglierà la pace, ci sarà una tragedia come mai prima d’ora”. Dopo l’attacco americano di questa notte in Iran, si può dichiarare ufficialmente che gli Stati Uniti sono entrati direttamente in guerra contro l’Iran, al fianco di Israele.
Gli Stati Uniti sono ora definiti parte attiva nel conflitto. Gli iraniani avevano precedentemente minacciato di danneggiare tutti gli interessi americani nella regione in caso di attacco, comprese le basi americane negli stati del Golfo, e di bloccare lo Stretto di Hormuz danneggiando così l’economia globale. Opzione che non conviene alla stessa Teheran che così perderebbe ingenti proventi economici derivanti dall’esportazione di petrolio, soprattutto verso la Cina.
Le minacce di rappresaglia e la disinformazione iraniana
Gli Houthi, tramite il loro portavoce ufficiale Yahya Sarie, hanno ufficialmente minacciato di attaccare le navi statunitensi nel Mar Rosso se gli Stati Uniti avessero attaccato l’Iran, mentre le milizie sciite filo-iraniane in Iraq hanno giurato di attaccare le forze americane in Iraq e Siria. L’agenzia di stampa iraniana IRNA pubblica un filmato girato alle sette del mattino, che mostra del fumo che si alza dall’area dei sistemi di difesa aerea della base di Fordow. Informa, inoltre, che diversi residenti iraniani hanno riferito di aver udito sei esplosioni durante la notte.
Si può presumere che le forze di sicurezza iraniane abbiano imposto un pesante assedio all’area per impedire la fuga di materiale video non precedentemente ispezionato. Tuttavia, il regime di Teheran ha comunicato, tramite i canali social network dei Pasdaran, che 48 prima dell’attacco di questa notte un convoglio terrestre di camion militari avrebbe provveduto allo spostamento di “materiali sensibili” da Fordow ad altri siti nelle vicinanze. A riprova di quanto dichiarato, l’Iran ha reso disponibile un’immagine satellitare.
A confutazione delle dichiarazioni iraniane è disponibile un’ampia gamma di video e screen shot postati in rete da dissidenti e semplici cittadini del Paese ed un’immagine satellitare della NASA dove sono è ben visibile una densa nube che si innalza proprio dal sito di Fordow. Israele e gli USA stanno valutando gli effetti degli attacchi odierni contro i siti nucleari iraniani di Fordow, Shiraz e Natanz. Se gli impianti non risulteranno completamente neutralizzati, potrebbe essere lanciato un attacco secondario.
Le reazioni nel mondo: confusione, timore e silenzio
Dopo l’attacco degli Stati Uniti contro l’Iran, l’ONU è sotto shock. Il Segretario Generale Guterres ha parlato di “escalation pericolosa” e chiesto moderazione. L’Europa è divisa: Francia, Germania e Regno Unito cercano di rilanciare la diplomazia, ma nessuno ha condannato apertamente Washington. La NATO resta in silenzio limitandosi a far sapere che “monitora la situazione”. Russia e Cina condannano l’attacco, ma evitano lo scontro. Pechino teme per i flussi energetici, Mosca difende formalmente Teheran ma resta defilata. Gli alleati del Golfo, ufficialmente neutrali, appoggiano in privato la distruzione degli impianti iraniani.
Il rischio: una guerra a più fronti
Le prossime ore saranno decisive. Se l’Iran dovesse colpire basi USA, petroliere o impianti in Arabia Saudita o negli Emirati, l’intero Medio Oriente rischia di esplodere. Lo Stretto di Hormuz – da cui passa un terzo del petrolio mondiale – è ora un punto critico. Il blocco dello stretto causerebbe una crisi energetica globale, già preannunciata dall’impennata dei prezzi del greggio nelle ultime ore.
Subito dopo l’attacco di questa notte, è stato rilevato un insolito movimento di navi iraniane in movimento nel Golfo Persico, possibile segnale dell’attuazione di un blocco nello Strettto strategico di Hormuz. I militari USA in Iraq, Siria e nel Golfo sono in allerta massima. Le ambasciate occidentali evacuano il personale non essenziale.
Uno scenario a spirale
Se Teheran deciderà che non ha più nulla da perdere, potrebbe accelerare sulla realizzazione anticipata di almeno un ordigno nucleare. Ma se ciò avverrà, la guerra in corso avrà ottenuto l’effetto opposto a quello dichiarato. L’Iran non può competere militarmente con USA e Israele, ma può logorarli attraverso cyber-attacchi, impiego di milizie alleate e terrorismo internazionale.
In ogni caso la sconfitta e la caduta del regime appaiono come fatti incontrovertibili e un’eventuale riscossa da parte iraniana porterebbe unicamente ad un inutile ulteriore spreco di vite umane. Ma di questo Teheran non si riterrà mai responsabile, come da copione sperimentato.