L’apertura di un nuovo fronte sud? Nuovi possibili scenari bellici.
Dopo la dichiarazione del Gen. Khalifa Haftar circa il legame instauratosi, per la verità da tempo, con la Federazione Russa, ecco che una interessante morte eccellente, quella di Abdel Ghani al-Kikli, noto come Gheniwa, il capo della milizia Support and Stability Apparatus (SSA) ucciso il 12 maggio 2025, insieme a tutte le guardie del corpo che lo accompagnavano, nel campo militare Tekbali, a sud di Tripoli, ha colpito non solo la Libia in senso lato ma, come vedremo più che altro in apparenza, il Governo stesso di Tripoli: l’unico riconosciuto a livello internazionale ed in particolare dall’Italia.
Da quell’Italia che il programmato incontro tra i plenipotenziari statunitensi e russi in Turchia per discutere della fine della guerra in Ucraina, nonché la recente visita di Trump in Medioriente, hanno indotto a ritenere di essere, in qualche modo, tornata al centro della politica internazionale in virtù di una lettura dei fatti correnti che non posso non accogliere, quantunque resti da capire in quale modo questa centralità debba essere intesa.
Tanto mi sento di poter affermare poiché diversi eventi caratterizzanti l’attuale geopolitica del MENA (inteso nella sua accezione più ampia) ci mettono, come vedremo a breve, nelle condizioni di formulare una ipotesi di lettura predittiva del futuro a breve-medio termine decisamente poco favorevole a Palazzo Chigi, dato che una semplice disamina delle circostanze di tempo e di luogo inerenti alla ‘morte eccellente’ di cui cui sopra ce la fanno inquadrare come un’azione finalizzata a creare, al momento opportuno, l’apertura di un nuovo fronte di guerra, rigorosamente atipico, da parte di Mosca congiuntamente ad Ankara e con la partecipazione di Haftar contro la EU e la NATO, mediante il sapiente utilizzo di quell’arma atipica che i flussi migratori di fatto hanno rappresentato, rappresentano e promettono di essere.
Un fronte che potrebbe rivelarsi alquanto pericoloso in primis per un’Italia già sede di forze atipiche attive ed adeguatamente ‘schierate’ da propagandisti jihadisti da tempo sotto le mentite spoglie di sedicenti promotori di un movimento popolare fintamente spontaneo filo palestinese, che potrebbero portare nelle piazze di molte città del Belpaese, ma non solo, a veri e propri scontri che, destabilizzando il Governo Meloni, possano indirettamente condurre ad una destabilizzazione della già fragile EU e con essa della NATO, dando corso, per somma, ad una manovra a tenaglia qualora una seconda direttrice d’attacco della medesima natura migratoria prendesse forma, grazie a quell’Ankara che al momento ospita e blocca centinaia di migliaia di profughi provenienti dalla Siria e da altre aree calde della regione limitrofa, procedendo lungo la dorsale dei Balcani, passante per il Kosovo, e diretta verso Nord.
Al momento tutto questo potrebbe essere riguardato come una fantasiosa ipotesi, ma poiché in certi casi è meglio prevenire che curare, soprattutto alla luce di eventi pregressi similari nella forma già ampiamente documentati e verificati (si veda quanto accadde –mutatis mutandis– nella Francia scossa dai Gilets Jaunes), ecco che a seguire vado ad elencare i punti salienti a supporto di questa, per ora, ipotetica tesi: quella di Abdel Ghani al-Kikli, come detto in apertura, è sicuramente una morte eccellente in quanto quella di una figura chiave di quegli accordi che il Governo italiano ha più o meno surrettiziamente stipulato con le autorità tripoline per la gestione dei flussi migratori che dalle coste libiche muovono verso l’Italia.
Diverse settimane fa, per la precisione a marzo, Gheniwa, come riportato anche dall’ANSA, era stato avvistato in Italia, per la precisione a Roma, dove ufficialmente era giunto per fare visita ad Adel Juma, Ministro dell’Interno ricoverato allo European Hospital dopo aver subito un attentato, sollevando non poche polemiche in quanto il personaggio in questione era noto per essere stato individuato da Amnesty International come “un criminale di Governo”.
A tale proposito merita rilevare come questo ‘avvistamento’ abbia fatto seguito al controverso caso di Nejeem Osama Almasri, il miliziano arrestato in Italia a gennaio e subito rilasciato e rimpatriato su un volo dei servizi segreti in conflitto con la Corte Penale Internazionale, che ne aveva chiesto la cattura con l’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
La morte di al-Kikli, stando all’Agenzia Nova, sarebbe avvenuta a seguito di una imboscata mascherata da incontro di negoziazione ed il profilo X di Refugees in Libya ha riportato che l’ordine di esecuzione sarebbe stato emesso dal Gen. Mahmoud Hamza, comandante della 444ª Fighting Brigade, nota, come riportato dall’analista Jalel Harchaoui, per i suoi stretti legami con la Turchia ed eseguito sul campo sotto la supervisione del capitano Musaab Zariq, uno degli ufficiali della brigata: una circostanza che merita notevole attenzione in questo particolare frangente.
Interessante notare, in questo contesto, che il Gen. Mahmoud Hamza, oltretutto anche in veste di direttore dell’Intelligence militare, agli inizi dello scorso mese ha guidato, come reso noto dall’Agenzia Nova il 15 aprile (che ha ripreso quanto diffuso dal portale web libico “Hakomitna”, legato al Governo di Unità Nazionale), una delegazione di alto livello della Libia occidentale in visita ufficiale in Turchia su invito formale di Ankara.
La delegazione, stando a quanto reso noto, sarebbe stata accolta dai vertici delle Forze armate turche, tra cui il capo di Stato Maggiore, il Vice Capo ed il direttore dell’Intelligence Militare per colloqui approfonditi volti a rafforzare la cooperazione militare e di sicurezza tra i due Paesi.
Quello che però colpisce maggiormente ora, alla luce dei recenti eventi, è che la missione oltre ad inserirsi in un contesto di “crescente dinamismo nei rapporti tra la Libia e la Turchia” sarebbe arrivata a “pochi giorni di distanza dalla visita, senza precedenti, a Istanbul di Saddam Haftar, comandante delle forze terrestri dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico (LNA) nonché figlio del Gen. Khalifa Haftar, leader de facto delle autorità della Libia orientale”.
Visita definita ‘senza precedenti’ poiché, stando a quanto noto, la visita di Haftar jr. sarebbe avvenuta su invito ufficiale di Ankara, tradizionalmente schierata a sostegno del governo con sede a Tripoli.
All’epoca la cosa fu interpretata come un’azione perfettamente inserita nel contesto delle azioni poste in essere da Ankara per ampliare la propria influenza nella Libia orientale, regione ricca di risorse e geograficamente vicina alla Turchia attraverso il bacino orientale del Mediterraneo, nonché “rispondente alla volontà di Ankara di sbloccare l’accesso alle esplorazioni energetiche nelle acque e nei territori controllati dalle autorità orientali, finora reticenti ad applicare i protocolli dell’intesa marittima firmata con Tripoli nel 2019”.
Un qualcosa che, alla luce del recente pronunciamento del Gen. Khalifa Haftar, dei rapporti di Mosca con Ankara, delle manovre strategiche di al-Joulani e perfino di quanto provocatoriamente sta ponendo in essere Hamas nella Striscia di Gaza per mantenere calda la tensione emotiva pro-palestinese, ci rende un quadro che depone a favore della lettura di cui in apertura di questa analisi.
Il tutto, se confermato dai prossimi sviluppi, renderebbe conto della poca congruità della politica non solo dell’Italia, ma dell’intera EU nei confronti del MENA che rischia di compromettere non poco la tenuta economica dell’intero Vecchio Continente se il controllo delle fonti energetiche della sponda Sud del Mediterraneo venisse, a tempo debito, militarizzato dal duo Mosca-Ankara con modalità proxy grazie al supporto di Haftar.
Stando a quanto reso noto dal gruppo Refugees in Libya su X il 12 maggio 2025 circa le attività dell’SSA stupisce, a questo punto, non poco non tanto che lo stesso abbia sin qui operato nella quasi totale impunità sotto la copertura della legittimità statale concessa dal governo di unità nazionale, in particolare sotto la guida di Abdelhamid Dabaiba, quanto piuttosto che la venuta di al-Kikli in Italia sia avvenuta utilizzando un visto Schengen rilasciato da Malta, nonostante fosse implicato in crimini che potrebbero equivalere a crimini contro l’umanità.
E non affermo questo per questioni etiche, ma perché il tutto rende conto del fatto che la sicurezza della EU, compresa quella energetica, viene ancora perseguita puntando palesemente su rapporti fiduciari ed accordi di collaborazione con le autorità libiche che potrebbero saltare da un momento all’altro senza preavviso.
In questo senso, il fatto che gli Stati europei abbiano permesso ad al-Kikli di circolare liberamente, mentre i sopravvissuti ai suoi abusi marciscono nelle prigioni o annegano in mare, è stato un esempio lampante non solo della giustizia selettiva della comunità internazionale, cosa del resto già nota per ben altre ragioni in diversi contesti, ma soprattutto del fatto che la morte di al-Kikli si configura come un colpo inferto per attaccare, per certo non a fini umanitari, la politica perseguita dalla EU nella regione al fine di proteggere quella linea di confine meridionale di cui la scomparsa di Gheniwa ha avviato permeabilizzazione.
Il fatto che all’attacco abbia fatto seguito una serie di scontri che secondo il The Libya Observer hanno avuto luogo tra una coalizione di milizie composta dalla Joint Force di Misurata, dalla 444th Fighting Brigade, dalla 111th Reinforced Brigade e dalla Directorate Support Force che hanno attaccato la SSA nelle aree di Abu Salim e Mashrou, roccaforte di Gheniwa e del suo gruppo, rende conto della complessa fase di riscrittura dei legami e dei rapporti di forza tra le parti in conflitto per, è lecito supporre, non più il mero perseguimento di interessi spiccioli, bensì per preparare il terreno ad una azione coordinata di più ampio respiro.
Tanto confermerebbe il fatto che la struttura in cui ha trovato la morte al-Kikli risulterebbe essere gestita da quella 444th Fighting Brigade il cui comandante è oltremodo noto per essere vicino al primo ministro Abdul Hamid Dbeibeh, secondo quanto dichiarato da un funzionario governativo all’Associated Press parlando in condizione di anonimato: forse uno dei pochi che ancora restano fedeli agli accordi con la EU.
Che la milizia di Hamza e i suoi alleati abbiano attaccato, dopo aver ucciso al-Kikli, pre gli uffici della SSA in tutta la capitale, sequestrando i loro beni e arrestando decine di combattenti rende testimonianza del fatto che quello che si è voluto colpire non era solo il leader del potente SSA, ma l’intera struttura di un qualcosa che ha rappresentato un baluardo dei vecchi equilibri regionali, sicché non è un caso che gli scontri, ancora in atto, siano stati e promettano di essere l’ultima ondata di violenza nel Paese che dal 2011 è precipitato nella guerra civile, anche se tutto lascia supporre che la spinta all’azione non sia più rispondente alle logiche tribali di un tempo.
Il tutto in una Libia sin qui divisa da anni tra amministrazioni rivali nell’est e nell’ovest, ciascuna sostenuta da gruppi armati e governi stranieri, e sempre sin qui governata dal governo di Dbeibeh a Tripoli e dall’amministrazione del Premier Ossama Hammad nell’est.
In questo contesto, il recente incontro del Presidente Trump con al-Joulani, così come l’accoglienza riservata a quest’ultimo pochi giorni fa da Macron a Parigi, nonché l’occhio di riguardo finanziario della EU riservatogli potrebbero essere letti come il tentativo di interferire con il piano qui delineato, ancorché –come tutto lascia supporre– non concertato con Washington.
In questo senso l’incontro di oltre mezz’ora di Trump con al-Joulani, che ha lasciato non poco perplessi molti osservatori, è lecito supporre sia avvenuto in ossequio al pragmatismo più estremo, configurandosi, per certi versi, come una potenzialmente abile contromossa rispetto a quelle sin qui poste in essere da Ankara e surrettiziamente da Mosca
Di fatto se è vero, come è vero, che i nemici dei miei nemici (nella fattispecie Teheran) sono miei amici, vi è da dire che la mossa è una di quelle ad alto rischio in quanto punta a realizzare quel divide et impera, se non altro pro tempore, che non è per certo sfuggito ad un al-Joulani tutt’altro che ingenuo.
Ed infatti che al-Joulani abbia favorito Israele attaccando le milizie filo iraniane basate in Libano tagliando la linea di rifornimento passante per la Siria è un fatto, ma pensare che al-Joulani combatta per conto di Israele è parimenti assurdo.
Che al-Joulani punti all’abbattimento delle sanzioni è un dato di fatto, così come è un dato di fatto che la giacca e cravatta indossate dal nuovo leader siriano rappresentano non un cambio dottrinale bensì di strategia nel cui contesto la mossa di Trump spicca per astuzia anche sino ad ora fin troppi presidenti USA, per supponenza, hanno commesso errori valutativi a dir poco drammatici: tanto se solo si pensa alla politica fallimentare di Obama nei confronti di quella Fratellanza Musulmana che il testé menzionato ex inquilino della White House potesse essere il valido elemento di contrasto della jihad islamica, mancando di cogliere che in questo modo ha preservato in fieri quella di matrice politica sunnita ben rappresentata ora da un abile al-Joulani.
La posizione assunta da Trump nei confronti di Israele, un Israele ignorato da Trump nel suo recente viaggio in Medioriente, in questo quadro complessivo appare quanto mai comprensibile ed il perché è presto detto.
Il fatto che al Principe saudita Trump abbia riservati abbracci e ripetute dichiarazioni di gradimento, “Mi piaci, mi piaci tanto” ed al Premier israeliano nemmeno una visita nel corso del suo primo viaggio in Medio Oriente, per somma ostentando un gelo senza precedenti, non va letto come un segnale che Donald Trump sta per riservare a Benjamin Netanyahu un trattamento alla Zelensky, e neppure che Israele ha perso quel ruolo che ha contraddistinto tutta la sua politica di contrasto delle mire egemoniche dell’URSS, prima, e della Federazione Russa, ora, ma solo il tentativo di buttare acqua sul fuoco che è stato acceso in Europa da chi ha montato la protesta antisemita per potenzialmente farne un uso bellico atipico a tempo debito.
In questo senso non va mai dimenticato che ciò che appare nei rapporti tra Israele e gli Stati Uniti è solo ciò che entrambi hanno concordato che debba essere e non vi è motivo che la cosa possa essere passata nel dimenticatoio ora, anche per le ragioni di cui al successivo punto di questa breve disamina,
Uno dei punti salienti da tenere in debita considerazione è per somma rappresentato dal fatto che l’Asia Centrale è attualmente assurta al rango di nuovo hub strategico grazie alle significative risorse naturali (come gas il naturale, l’uranio ed i potenziali idroelettrici) possedute dal Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan ed’Uzbekistan, che non poco possono contribuire all’approvvigionamento energetico dell’area e oltre: un fatto questo che ha rafforzato la cooperazione regionale e attratto nel tempo importanti investimenti infrastrutturali.
Non è un caso che nelle giornate del 3 e 4 aprile 2025, la città di Samarcanda, in Uzbekistan, abbia ospitato il primo storico vertice tra la EU e i cinque Paesi dell’Asia centrale: una regione tradizionalmente sottoposta alle influenze di Russia e Cina
Per somma il blocco degli Stati indipendenti ha a tal segno rafforzato i legami con l’Azerbaigian, la Turchia e la EU, attraverso iniziative strategiche di trasporto come il Middle Corridor, da offrire un’alternativa alle rotte russe e iraniane utilizzate per gli approvvigionamenti energetici essenziali ad un Occidente che sta cercando, di sfruttare a proprio vantaggio il fatto che l’Asia centrale sta agendo sempre più come una regione di media potenza desiderosa di ricalibrare il suo ruolo tra Mosca, Pechino, Bruxelles e Ankara.
Ora nell’attuale contesto geopolitico che vede una EU ostile verso Mosca è lecito ritenere che il Cremlino non veda di buon occhio un rimodellamento del piano di approvvigionamenti energetici da parte dell’Occidente, di un Occidente che potrebbe non ambire più ai combustibili russi liberandosi dalla potenziale sua influenza, che per certo non punta a ristabilire con l’uso delle armi scatenando un conflitto dalle proporzioni devastanti.
Accanto a questa esigenza strategica di Mosca vi è il desiderio di Ankara di diventare un hub energetico: un desiderio che una crisi dei rapporti della EU con il Nordafrica le consentirebbe di rendere più fattibile in tempi brevi grazie al rilancio del cosiddetto Middle Corridor che vede in Ankara un ganglio fondamentale la cui promozione di fatto non solo incontrerebbe i favori della Turchia, ma pure di Mosca che vedrebbe di buon occhio una accresciuta dipendenza della EU dal Middle Corridor a fronte di una diversificazione resa più incerta ed instabile avente come punto di forza la Libia ed in generale in Nordafrica.