Leone nascente: l’operazione del Mossad che fa già storia. Otto mesi per un secondo é il tempo che serve al Mossad per cambiare la storia. Un’operazione che non si è giocata solo nei cieli, ma tra codici cifrati, droni nascosti, valigie diplomatiche manomesse e false trattative. Israele ha colpito. L’Iran accusa il colpo. E dietro l’attacco più audace del secolo si nasconde un piano meticoloso, orchestrato nell’ombra dall’Intelligence israeliana.
La notte in cui il cielo sopra Teheran esplose
Era buio profondo sulle alture di Natanz quando il cielo si è fatto giorno. Alle 4 del mattino, ora iraniana, il ruggito di 200 caccia israeliani ha infranto il silenzio. Senza alcun rifornimento in volo, avevano attraversato 1000 km di spazio ostile. In pochi minuti, 300 bombe di precisione si sono abbattute su decine di bersagli. Il programma nucleare iraniano — cuore strategico del regime — è stato colpito con una violenza chirurgica.
Operazione Leone Nascente del Mossad: non è nata in una notte
La denominazione descrive appieno le finalità di Gerusalemme: un establishment laico a Teheran che comporterebbe il ritorno del leggendario leone sulla bandiera nazionale iraniana. È il frutto di otto mesi di preparazione segreta, fatta di infiltrazioni lente, decisioni silenziose e strategie di depistaggio raffinate. Quando il primo missile ha colpito Natanz, la vera battaglia era già stata vinta: quella dell’intelligence.
Inizia tutto otto mesi prima
Ottobre 2024. In una base del Negev, i vertici dell’intelligence israeliana approvano un piano d’azione che sembra uscito da un romanzo di Le Carré. Il Mossad viene incaricato non solo di raccogliere informazioni, ma di entrare fisicamente in Iran. Con l’aiuto di dissidenti interni e tecnologie mai rese pubbliche, iniziano a muoversi veicoli camuffati. Droni esplosivi vengono contrabbandati dentro il Paese, nascosti in container commerciali e spedizioni civili. Alcuni finiscono nei pressi di Teheran, altri vicino alle rampe missilistiche nel sud del Paese. Forse un caso, ma la medesima strategia utilizzata dagli ucraini per colpire il cuore della Russia qualche mese dopo. Intanto, squadre del Mossad in incognito installano missili di precisione accanto a radar e batterie antiaeree. Tutto è pronto, ma deve restare invisibile.
Il grande inganno: la trappola diplomatica
Ad aprile 2025, mentre i giornali parlano di una possibile ripresa dei colloqui sul nucleare tra Stati Uniti e Iran, qualcosa non quadra. Israele e Washington – almeno una parte dell’amministrazione Trump – stanno fingendo. I negoziati annunciati non esistono. Sono una copertura. Teheran crede al bluff e abbassa la guardia. Solo il venerdì prima dell’attacco, l’Iran annuncia in diretta TV che non parteciperà ai colloqui. Ma è tardi. Mentre il portavoce parla, le bombe sono già caricate sugli F-35 e il Mossad è in posizione.
Il colpo al cuore
Il raid si abbatte con precisione spietata. Il sito di Natanz, uno dei più protetti al mondo, viene devastato. Vengono colpiti anche impianti a Isfahan, Teheran e Khondab. Alcuni bersagli sono così sensibili che neanche l’intelligence americana ne conosceva l’esistenza.
Leone nascente: per il Mossad il bersaglio più delicato è umano
Durante i bombardamenti vengono uccisi due dei più potenti uomini del regime: Hossein Salami, comandante in capo delle Guardie Rivoluzionarie e Hossein Bagheri, Capo di Stato Maggiore delle forze armate. Entrambi si trovavano a Teheran, in residenze teoricamente inaccessibili. Ma il Mossad conosceva gli orari, i codici di sicurezza, persino la disposizione interna delle stanze. Due scienziati coinvolti nell’arricchimento dell’uranio vengono eliminati nello stesso raid.
Il ruolo degli Stati Uniti: silenzio assenso
Mentre Tel Aviv mantiene il controllo dell’operazione, Washington osserva. Il presidente Donald Trump, informato in anticipo, convoca una riunione d’emergenza alla Casa Bianca. Pubblicamente, gli Stati Uniti negano ogni coinvolgimento. Ma il segretario di Stato Marco Rubio conferma che Israele ha avvisato Washington e che gli attacchi sono “necessari per autodifesa”. Dietro le quinte, gli americani mettono in sicurezza basi, ambasciate e contingenti nella regione. Trump, poche ore dopo l’attacco, dichiara alla ABC:“Eccellente. Non è finita qui”. Il messaggio è chiaro. Israele ha agito con una carta bianca tacita, ma piena.
La risposta dell’Iran: rabbia, caos e oscurità
Dopo gli attacchi israeliani di ieri, Teheran chiude lo spazio aereo. Le sirene risuonano nella capitale e nelle città del sud. Droni iraniani vengono lanciati verso Israele, ma quasi tutti vengono intercettati. Le autorità iraniane parlano di una “dichiarazione di guerra” e invocano l’intervento dell’ONU.
La Guida suprema Ali Khamenei si affretta a nominare nuovi vertici militari: Mohammad Pakpour ai Pasdaran e Abdolrahim Mousavi come Capo di Stato Maggiore. Nel frattempo, le immagini satellitari mostrano la distruzione di intere sezioni degli impianti nucleari, soprattutto a Natanz, Karaj, Isfahan e Fordow, ma i bombardamenti giungono sino a Pasteur street, indirizzo di residenza del presidente Masoud Pezeshkian. Fonti interne parlano di mesi – forse anni – prima che il programma nucleare iraniano possa riprendersi.
Israele si prepara al secondo atto
In Israele, lo stato di emergenza è già attivo. Il ministro della Difesa Israel Katz avverte: “Preparatevi a un contrattacco”. Le ambasciate israeliane nel mondo vengono chiuse, e i servizi consolari sospesi. La macchina della difesa è in allerta massima. Secondo fonti militari, altri attacchi sono previsti nei prossimi giorni. Netanyahu è chiaro: “Colpiremo quanto necessario. Nessuna tregua, finché l’Iran rappresenterà una minaccia nucleare”.
Il futuro? Un equilibrio sull’orlo del disastro
Il raid non ha solo fermato — almeno temporaneamente — la corsa nucleare dell’Iran. Ha mostrato al mondo che il Mossad può colpire ovunque, anche nel cuore del nemico. E che Israele non ha bisogno del permesso di nessuno per farlo. La Repubblica Islamica è ferita, decapitata, isolata. Ma non vinta. Ha ancora armi, alleati e vendette in sospeso. Eppure, da oggi, sa che nessun bunker è veramente sicuro. E che, dietro il silenzio di otto mesi, può nascondersi un leone pronto a colpire.
Nella serata di ieri l’Iran ha lanciato verso Israele circa 150 vettori a lungo raggio dei quali solo sette hanno colpito il centro di Tel Aviv, Ramat Gan e Haifa. I sistemi di intercettazione dell’IDF hanno abbattuto il 97% dei missili e droni in collaborazione con l’esercito giordano. Il bilancio è di una donna morta, 62 feriti ed alcuni edifici civili danneggiati.
A seguito di questa ritorsione, dalle 22.30, l’IAF ha ricominciato nei raid su Teheran e Isfahan dove è stata colpita la centrale elettrica di Raisi e l’impianto di arricchimento dell’uranio.
Secondo l’AIEA Israele ha distrutto l’impianto in superficie di Natanz, dove l’Iran produce uranio arricchito al 60%. All’interno della struttura c’è una contaminazione radiologica e chimica, gestibile solo con misure adeguate. La contaminazione segnalata potrebbe essere compatibile con la presenza di plutonio, un fattore che, se confermato, non farebbe che indurre a maggiori preoccupazioni in relazione alle reali possibilità dell’Iran di dotarsi di armamenti nucleari.
Colpito anche il quartier generale delle forze armate iraniane situato in Moallem street, a Teheran. Smentite da Israele le notizie relative all’abbattimento di tre F35 del IAF e della cattura di un pilota israeliano pubblicate in rete dalla propaganda dei Pasdaran. Nella tarda serata si sono susseguiti strike da entrambe le parti in conflitto. Colpito il quartiere residenziale di Teheran, ma anche la periferia di Tel Aviv.
Le minacce contro gli USA
L’Iran e le milizie sostenute dall’Iran hanno attaccato l’ambasciata statunitense a Baghdad, in Iraq, e si sono sentite esplosioni e sirene nella zona. Un funzionario iraniano ha dichiarato a Fars News che gli attacchi dell’Iran contro Israele continueranno e si intensificheranno e che le basi americane saranno rase al suolo nei prossimi giorni, in una risposta “ampia e decisa” agli Stati Uniti, che l’Iran considera corresponsabili.
E ci si chiede, ma l’Europa?
Macron, sotto l’effetto di qualcosa, ha fornito l’appoggio della Francia a Israele. Mentre i tedeschi rimangono silenti, così come la maggioranza degli altri Paesi. In fondo una stabilizzazione dell’Iran comporterebbe vantaggi economici, a livello commerciale per tutta l’UE. E l’Italia? Beh, A volte sarebbe gradito quantomeno il silenzio, ma per il nostro emerito ministro degli esteri, probabilmente male informato, non è così. Giovedì sera alle 19.30, qualche ora prima dell’attacco di Israele, ha fatto sapere: “Non abbiamo alcuna segnale che ci sarà un attacco israeliano all’Iran nell’immediato futuro”.