Netanyahu parla all’Iran, Ryadh a Teheran: Kyiv il retroscena.
Nuovi equilibri in Medio Oriente sembrano profilarsi all’orizzonte in quella che pare essere una corsa contro il tempo tutta all’insegna dell’incertezza che discende direttamente dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, cosicché è in questo contesto che vanno inseriti due eventi che si segnalano per la loro, è lecito supporre, non casuale concomitanza e per aver avuto per protagonisti il Premier Israeliano Benjamin Netanyahu, il Principe Ereditario saudita Mohammed bin Salman ed il Vicepresidente iraniano Mohammad Reza Aref.
Per cercare di capire cosa c’è dietro a tutto questo credo sia opportuno partire da due articoli la cui lettura ritengo sia propedeutica in quanto pongono l’accento sui fatti salienti che quanto segue hanno di necessità imposto: mi riferisco a “Israele-USA-Iran: Guerra d’intelligence”, cui per doverosa completezza aggiungo la “Kyiv strains to see Trump’s true plan for Ukraine” nonché “Kyiv’s backers take comfort in Trump’s Cabinet picks” aggiungendo un interessante passaggio tratto da un articolo apparso il 14 Novembre 2024 sul The Caspian Post con il titolo “Iran Delays Response to Israel Amid Tensions with Iraq” dal quale apprendiamo che l’Iran avrebbe “deciso di ritardare la sua risposta a Israele in considerazione degli avvertimenti lanciati all’Iraq sulle potenziali conseguenze nel permettere il lancio di attacchi dal proprio territorio”.
L’ipotesi di un attacco iraniano contro Israele
Secondo diversi analisti, al momento, l’ipotesi di un attacco iraniano sarebbe del tutto fuori discussione dopo la rielezione di Trump –e questo sarebbe in linea con quanto dichiarato la scorsa settimana dall’ex Direttore Generale dell’Agenzia di Stampa Statale Iraniana IRNA e professore di storia Abdullah Naseri Taheri: “C’è un’alta probabilità che qualsiasi attacco irrazionale a Israele sia stato tolto dall’agenda, poiché il leader iraniano Ayatollah Khamenei e la leadership dell’IRGC sono molto più intimiditi da Trump di quanto non lo siano mai stati da Kamala Harris“.
Tanto anche se da Sky News Arabia apprendiamo che: “Il portavoce della Guardia Rivoluzionaria Iraniana, Ali Mohammad Naeini” avrebbe affermato che “l’Iran risponderà al ‘nuovo atto malvagio’ compiuto da Israele, riferendosi all’attacco contro l’Iran dello scorso 26 Ottobre” aggiungendo, tuttavia, che “La risposta alla recente aggressione sionista contro l’Iran sarà inevitabile, decisiva e al di là della consapevolezza del nemico”, anche se “la risposta dell’Iran al terzo attacco sarà una misura difensiva” affatto indicativo di “un aumento della tensione” con Israele.
Il riposizionamento dell’Establishment americano
A fare da sfondo a tutto ciò troviamo la posizione che il nuovo establishment americano sembra in procinto di assumere nei confronti di Kyiv e degli Alleati che sin qui hanno ciecamente uniformato le proprie scelte politiche alle desiderata della Casa Bianca e che ora, da un momento all’altro, potrebbero ritrovarsi alle prese con le conseguenze del troppo aver riposto la propria incondizionata fiducia in chi a più riprese, già con Biden ha mostrato, nonostante tutto, la chiara intenzione di non volersi far coinvolgere direttamente in un conflitto, quello russo–ucraino, che il neoeletto Presidente Trump pare intenzionato a far si che diventi una questione prettamente europea tanto militarmente, quanto economicamente.
Una posizione decisamente comprensibile se solo consideriamo che nel frattempo il debito delle famiglie statunitensi ha raggiunto il massimo storico di 17.940 Mld di USD nel terzo trimestre del 2024. Detto debito, ha riferito la Fed, è aumentato di 147 Mld di USD nell’ultimo trimestre e di 778 Mld di USD negli ultimi 12 mesi: un’impennata trainata dai mutui e dalle carte di credito, che hanno raggiunto nuovi record rispettivamente di 12.980 Mld di USD e 1.170 Mld di USD.
Quello che più interessa allorché si prendono in esame questi dati è che, sempre secondo la lettura che ne ha dato la Fed nel suo comunicato intitolato “Household Debt Rose Modestly Delinquency Rates Remain Elevated” rilasciato il 13 Novembre 2024, sono correlati alle maggiori pressioni subite dai consumatori più giovani e da quelli a basso reddito, ferma restando la difficoltà degli Statunitensi a tenere il passo con l’aumento dei prezzi, una difficoltà che si traduce in un vertiginoso aumento del tasso di indebitamento con tutto quanto ne consegue in termini di tensioni sociali che sono giocoforza la priorità per il nuovo establishment americano.
Guerre di Intelligence
Alla luce di tutte queste considerazioni acquista un particolare e ben più ampio significato quanto evidenziato da Davide Racca con riferimento alla destabilizzazione della sicurezza americana allorché ha scritto “Israele potrebbe trovarsi costretto a riconsiderare il proprio rapporto di collaborazione con Washington, proprio mentre altre potenze, come la Cina e l’Iran, cercano di espandere la loro influenza in Medio Oriente“: un concetto che a ben guardare, sommandosi a tutto quanto correlato a quanto sin qui esposto, deve aver fatto riflettere non poco e non solo il Premier israeliano, ma anche il Principe bin Salman investendo di una luce del tutto particolare quanto ha caratterizzato, mediaticamente parlando, l’11 ed il 12 Novembre 2024.
Nello specifico va debitamente meditato quanto avvenuto nella tarda serata del 12 Novembre allorché il Leader israeliano Benyamin Netanyahu, a sorpresa, ha rivolto un videomessaggio al popolo iraniano, una comunicazione audiovisiva con la quale ha posto l’accento su un elemento della politica interna dell’Iran che, come tale, ci permette di validare le ragioni delle modalità con cui è stato condotto il recente attacco aereo delle Forze Armate israeliane evitando accuratamente di colpire centri nevralgici dell’economia del Paese quali gli impianti petroliferi ed i siti nucleari facenti parte del progetto energetico di Teheran.
Tanto si evince da un passaggio, in particolare, del suo breve, ma significativo discorso il cui testo riporto più oltre integralmente (accludendo il link al relativo video) in trascrizione: “C’è una cosa che il regime di Khamenei teme più di Israele. Siete voi, il popolo iraniano. Non perdete la speranza”.
Una frase, questa, che sicuramente verrà fatta passare per una, neppure tanto velata, minaccia, quando non addirittura per un segno di debolezza e di paura, in primo luogo proprio da coloro che in tutti i modi in Europa –prova ne sia quanto avvenuto ad Amsterdam– stanno cercando di usare il mai sopito antisemitismo continentale per volgerlo a proprio favore ammantandolo del falso pacifismo di chi in questi giorni a gran voce predica l’”intifada globale” (magari rispolverando pure il frasario del vetero–comunismo di quanti ancora mitizzano la cosiddetta lotta rivoluzionaria di quelli che furono gli “Anni di piombo”) e che proprio per questo ritengo colga pienamente nel segno nel momento in cui richiama l’attenzione sulla debolezza del regime iraniano.
Un establishment traballante che, messo alle strette, punta ora più che mai, a sfruttare un attacco massiccio di Israele per compattare il Paese e consolidare il proprio potere (un po’ come accadde a Stalin grazie all’attacco tedesco ai tempi del II Conflitto Mondiale): un qualcosa che consentirebbe ai conservatori iraniani ed ai Pasdaran di colpire i movimenti riformisti e quanti auspicano un cambio di rotta in senso democratico della vita politica dell’Iran, di tradimento e collusione con il nemico.
I prossimi giorni e le prossime manifestazioni di piazza saranno alquanto illuminanti per capire quale piega prenderanno gli eventi in quanto si ha motivo di ritenere che le violenze di cui sono stati fatti oggetto in questi giorni diversi appartenenti alle comunità ebraiche europee, —violenze che tutto lascia supporre possano ripetersi con maggiore forza e frequenza—, potrebbero prendere una piega tale da rivelarsi un vero e proprio boomerang proprio per gli agitatori jihadisti palesemente operanti dietro le quinte: ed il fatto che ‘qualcuno’ stia correndo questo rischio è di per sé indicativo delle difficoltà in cui si sta dibattendo il regime iraniano che credo sia attualmente più preoccupato della propria sorte che del destino dei Palestinesi la cui “causa” dichiara a gran voce essere il motore di cotanta intraprendenza sul piano militare.
Comunque sia il discorso è arrivato esattamente nel giorno in cui il Vicepresidente iraniano Mohammad Reza Aref ha invitato il Principe Ereditario saudita Mohammed bin Salman a visitare Teheran: una mossa che si segnala alla nostra attenzione non solo per il fatto che la cosa rappresenta di per sé una svolta storica per la geopolitica della regione, oltretutto perfettamente in linea con le desiderata di Beijing (che non poco, in un recente passato, si è data da fare per promuovere la ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi), ma anche perché ciò avviene dopo l’addio (o pausa di riflessione?) ai BRICS dell’Arabia Saudita ed il ritorno di Trump alla White House.
Il ruolo di Ryadh nell’area del Golfo
Un ritorno che era nell’aria e che non poco deve aver pesato sulla tempestiva scelta di Riyad di ritornare sui propri passi in politica estera dopo il supporto dato a Mosca per permettere a Putin di affrontare più serenamente le sanzioni imposte dall’Occidente (si ricordi, a tale proposito, il taglio della produzione petrolifera deciso da Riyad sia per sostenere il prezzo del greggio, che per favorire le vendite di petrolio russo tramite la ben note triangolazioni di cui ha beneficiato anche, a quanto si sa, Riyad, oltre che l’India, ma non solo) e la sua adesione a quei BRICS che puntano non poco a colpire lo USD –e quindi ad indebolire il peso globale degli USA nel mondo— come di fatto ribadito, sia pure con altri termini, da Putin al recente 16° Summit dei BRICS a Kazan.
Questo, per così dire, ritorno/non ritorno all’ovile statunitense non è sicuramente passato inosservato tanto a Beijing quanto a Mosca che è lecito supporre abbiano visto di buon grado, se non addirittura in qualche modo caldeggiato, la singolare iniziativa —mi riferisco al recente vertice di leader arabi e musulmani tenutosi a Ryadh l’11 Novembre per fare pressione per la creazione di uno Stato palestinese, un anno dopo che la Lega Araba e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica hanno tenuto una prima conferenza sull’argomento che tutto ci lascia supporre essere stata posta in essere al fine di tentare in qualche modo di arginare la recente, almeno in apparenza, strategica scelta soft di campo saudita, una scelta decisamente soft che di fatto può essere letta come dettata dall’opportunistico ritrovato sbilanciamento pro USA di una Riyadh che, ricordiamolo, non solo é da decenni in competizione con l’Iran sul mercato petrolifero, ma a Teheran contende anche l’influenza sulla regione del Medio Oriente allargato.
È interessante notare come, parlando pochi giorni dopo che gli americani hanno votato per rimandare l’ex presidente Donald Trump alla Casa Bianca, Mohammed bin Salman (che, vale la pena qui ricordarlo, ha un debito di riconoscenza di non poco conto nei confronti di Trump per il supporto ricevuto ai tempi dell’affaire Khahsoggi) abbia colto l’opportunità per indurire di proposito la retorica del regno contro Israele, per segnalare che Ryadh potrebbe sì allontanarsi ulteriormente dagli sforzi statunitensi per mediare autonomamente un accordo di normalizzazione con Gerusalemme, ma che al tempo stesso sempre Ryadh potrebbe essere l’asso nella manica del neoeletto Presidente statunitense per favorire il rientro degli USA in quello scacchiere mediorientale dal quale la diplomazia cinese di fatto li ha estromessi.
Il risveglio dell’antisemitismo
Detto per inciso, ma di questo parleremo più diffusamente in un prossimo articolo, a quel certo risveglio antisemita in ambito europeo sdoganato dalle retoriche filo–palestinesi, non credo siano del tutto estranei tanto Mosca quanto, soprattutto, quella Beijing che dubito non abbia colto l’opportunità di incrinare ulteriormente in Europa l’immagine di quegli Stati Uniti che le riemerse retoriche anticapitaliste, antimperialiste ed antiamericane puntano, in modo surrettizio, ad ottenere per via indiretta grazie alla implicita sottolineatura del fatto che gli USA sono gli alleati per antonomasia del ‘criminale di guerra’ Netanyahu: tanto poiché ciò che appare spesso e volentieri è altro da ciò che è, e la memoria corta dei semplici non poco aiuta in certi casi.
Quella memoria corta che, detto per inciso, ha fatto dimenticare ai più che il riarmo di Hamas è avvenuto con sofisticati armamenti cinesi e che ancora rimane senza risposta la domanda fondamentale: cosa si proponeva di ottenere Hamas con l’attacco del 7 Ottobre 2023 costato la vita a 1200 civili israeliani, visto che se non ci fosse stato l’attacco dell’IDF Hamas sarebbe stato universalmente qualificato in via definitiva come un efferato gruppo criminale sic et sempliciter –e come tale deprivato di qualsivoglia diritto di parola?
Tornando a noi e ai fatti è indubbio che in questo contesto, se, come noto, fino ai drammatici eventi del 7 Ottobre 2023 i ruoli interpretati da Ryadh, Teheran e Tel Aviv ci hanno mostrato una Ryadh punto di riferimento per i Paesi e i movimenti orientati all’islam sunnita, così come Teheran lo è stato per quelli dell’islam sciita (cosicché da ciò sono derivate non poche tensioni e anche Proxy Wars come quelle in Siria e Yemen), nonché uno Stato di Israele per molti versi antagonista di entrambi anche se ai tempi del primo mandato Trump Tel Aviv aveva potuto avviare negoziati per normalizzare per la prima volta i suoi rapporti, se non altro, con Ryadh, è parimenti un dato di fatto che le offensive militari su vasta scala che Israele ha lanciato sulla Striscia di Gaza prima (in risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023) e sul Libano poi, nonché le migliaia di vittime civili utilizzate come scudi umani da Hamas, hanno allontanato non poco l’Arabia Saudita dalla posizione attendista sin qui assunta.
Una posizione ufficialmente ascrivibile per un verso a quella sorta di disciplina fatta propria da tutti i Paesi aderenti ai BRICS che si sono affidati in toto alla diplomazia cinese, per un altro verso volta a non incrinare anzitempo i buoni rapporti posti in essere con Israele sempre grazie ai buoni uffici di Beijing, mantenendo nel contempo fede a quella posizione intransigente nei confronti di Hamas, ma non solo.
L’Arabia Saudita sancisce il ruolo di terroristi ai gruppi legati ai Fratelli Musulmani
A tale proposito vale qui la pena di ricordare come il 9 Marzo 2014 il Ministero degli Interni dell’Arabia Saudita abbia designato la Fratellanza Musulmana come organizzazione terroristica insieme a diverse milizie islamiche impegnate nella guerra contro il regime siriano in quanto, nonostante che tanto la Fratellanza quanto il regno saudita sposassero all’epoca interpretazioni sunnite conservatrici dell’Islam, Ryadh mal sopportava la condanna della monarchia da parte della Fratellanza.
Tanto si può ancora ritrovare in una nota del Ministero degli Interni saudita che rende conto del fatto che le suddette raccomandazioni erano state approvate dall’Ordine Reale 16820 datato 5 Jumadi Alawla 1435H e sarebbero state applicate a partire dal giorno 8 Jumadi Alawla 1435H (9 marzo 2014) di modo che chiunque le avesse violate sarebbe stato ritenuto responsabile per tutte le violazioni precedenti e successive.
Ed affinché le desiderata del Sovrano fossero quanto mai chiare a tutti ecco che il Ministero degli Interni aveva proceduto ad allegare alla dichiarazione in oggetto un primo dettagliato elenco di partiti, gruppi e fazioni a cui la stessa si riferiva, elenco nel quale troviamo: l’Organizzazione Al-Qaida, l’Organizzazione Al-Qaida nella Penisola Arabica, l’Organizzazione Al-Qaida nello Yemen, l’Organizzazione Al-Qaida in Iraq, il Daesh, il Fronte Al-Nusra, Hezbollah nel Regno, la Fratellanza Musulmana ed il Gruppo Al-Houthi.
Tanto rende l’allontanamento di cui sopra come un qualcosa di palesemente dettato da ragioni pratiche e non certamente da un reale interesse per quei Palestinesi che a conti fatti nessuno vuole, a cominciare da quanti ad ogni piè sospinto dichiarano di volersi occupare ed a vario titolo tutelare, supportare, sostenere, salvo poi essere indisponibili a qualsivoglia forma di accoglienza, financo pro tempore, in quanto rappresentanti, con i loro movimenti e milizie, un pericolo per la stabilità e la sicurezza.
Un allontanamento che tuttavia ha trovato ampia conferma nelle dichiarazioni rilasciate l’11 Novembre 2024 dal Principe Bin Salman (MbS) prima della apertura del vertice congiunto della Lega Araba e dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica tenutosi a Ryadh di cui sopra, dichiarazioni che, come riportato da al-Jazeera, sono state di condanna del “massacro commesso contro il popolo palestinese e libanese“, di esortazione (sempre rivolta ad Israele) “ad astenersi da ulteriori atti di aggressione“, nonché di invito rivolto a tutti i Paesi del mondo affinché riconoscano lo Stato palestinese.
Parole, quelle di MbS, cui hanno fatto eco quelle di Ahmed Aboul Gheit, Segretario Generale della Lega Araba, che per l’occasione si è unito al Principe nel condannare l’operazione militare israeliana a Gaza e in Libano, affermando che “le parole non possono esprimere la condizione del popolo palestinese” ed aggiungendo che “Le azioni intraprese da Israele contro il popolo palestinese stanno minando gli sforzi per raggiungere una pace duratura“, in quanto “Solo attraverso la giustizia saremo in grado di stabilire una pace duratura“.
Quello che non sarebbe stato dato di capire limitandoci a prendere in considerazione le parole del Principe Saudita senza una ulteriore riflessione è il perché proprio ora di questo corpus di dichiarazioni, così come di quelle ancora più decise riportate da altre testate che rendono conto dello strappo che si è consumato a Ryadh allorché lo stesso bin Salman ha condannato le azioni di Israele a Gaza qualificandole come “genocidio”: “Il regno rinnova la sua condanna e il suo categorico rifiuto del genocidio commesso da Israele contro il popolo fraterno palestinese, che ha causato la morte di 150.000 martiri, feriti e dispersi, la maggior parte dei quali sono donne e bambini”.
Tanto per non parlare delle critiche mosse ad Israele con riferimento agli attacchi dell’IDF contro Libano e Iran, affermando che Israele deve “rispettare la sovranità della sorella Repubblica islamica dell’Iran e non violare le sue terre“: un commento che riflette a tal segno il miglioramento delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran, da far sì che il principe abbia ritenuto di mettere in guardia Israele contro eventuali attacchi al territorio iraniano, quantunque non sia dato capire come debba essere inteso concretamente il tutto, ovverosia fino a che punto questa sorprendente sorellanza potrebbe tradursi in azioni contro Israele se solo si tiene in debito conto che appena una decina di anni fa gli eventi avevano preso una piega decisamente diversa, come ci ha rammentato Emad Mekay, corrispondente IBA – International Bar Association per il Medio Oriente, in suo scritto intitolato “Saudi Arabia and Israel quietly prepare ‘deal of the century‘”.
Israele – Arabia Saudita e gli interessi convergenti
Un articolo nel quale si può ancora leggere di come, secondo le parole di un influente membro della famiglia regnante degli Al Saud, il Principe Alwaleed bin Talal, “per la prima volta, gli interessi dell’Arabia Saudita e di Israele sono quasi paralleli… È incredibile”. Una frase pronunciata commentando la decisione dell’Arabia Saudita di limitare le minacce da affrontare come provenienti da due soli nemici: l’Iran e l’opposizione politica islamica sunnita che il caso voleva fossero le due minacce che anche Israele doveva affrontare.
Era quella l’epoca in cui l’antipatia condivisa da Arabia Saudita e Israele per l’Iran era, e non si capisce ora bene per quale ragione non dovrebbe più esserlo, il principale fattore che univa i due Paesi in una relazione che all’epoca si diceva fosse destinata a rimanere nell’ombra “sia per la natura della cooperazione, sia perché il riconoscimento diplomatico saudita di Israele dipende da un accordo di pace israelo-palestinese, che non sembra imminente“, per dirla con Perry Cammack, all’epoca collaboratore del Carnegie Endowment for International Peace, il ben noto think tank apartitico specializzato in politica estera.
Acqua passata? Non direi proprio se solo consideriamo quanto ha riportato Haisam Hassanein, un collaboratore della FDD, ovverosia della Foundation for Defense of Democracies, che ad Agosto di quest’anno ha pubblicato un interessante articolo intitolato “Saudi Official Views of Hamas” nel quale trova ampio spazio la sottolineatura di come nel mondo arabo fosse frequente sentir dire che Riyadh non sosteneva abbastanza i Palestinesi.
Un qualcosa che ha trovato conferma non solo nel modo con cui i media finanziati dal governo Saudita sono stati soliti descrivere gli agenti di Hamas uccisi da Israele (sistematicamente qualificati come terroristi), ma anche nella modalità con cui i religiosi locali hanno a più riprese affermato che Hamas non stava portando avanti una “jihad” bensì commettendo un “atto diabolico”.
Se poi a questo aggiungiamo:
- che nessun membro della famiglia reale e nessun funzionario del Ministero degli Esteri ha mai rilasciato una dichiarazione di cordoglio per la morte del leader di Hamas Ismail Haniyeh
- che la politica saudita dal 7 ottobre 2023 ha sistematicamente cercato di dissociare Ryadh dal gruppo terroristico e che c’è stata una componente araba nella coalizione che ha neutralizzato l’attacco iraniano a Israele sferrato nella notte tra il 12 ed il 13 Aprile 2024 (Come noto il successo di Israele e dell’America nell’intercettare la maggior parte dei droni e dei missili lanciati da Teheran è stato anche una conseguenza della cooperazione di alcuni Paesi arabi tra i quali in primo luogo troviamo la Giordania che è intervenuta con le sue difese antiaeree, nonché l’Arabia Saudita e altri Paesi suoi alleati che hanno contribuito fornendo le informazioni acquisite dai loro servizi di intelligence sull’attacco iraniano, con lo spionaggio dei cieli da parte dei loro sistemi radar e con la concessione del proprio spazio aereo per il sorvolo dei jet statunitensi)
- che, come ha riportato Joshua Marks in un suo articolo apparso il 15 Aprile 2024 sul The Jewish Chronicle con il titolo “Saudis say Iran instigated Oct. 7 to sabotage normalization of Israel”, l’Arabia Saudita ha accusato l’Iran di aver istigato il conflitto a Gaza per minare i progressi nel raggiungimento di un accordo di normalizzazione tra Ryadh e Gerusalemme. Per somma, a quanto pare, in un’intervista rilasciata all’emittente pubblica israeliana Kan News, una fonte della famiglia reale ha affermato che Teheran promuove il terrorismo aggiungendo che “L’Iran è una nazione che appoggia il terrorismo e il mondo avrebbe dovuto limitarlo molto prima”
- che il Paese ospita funzionari dell’Autorità Palestinese delegati da Ramallah
- che se per un verso le autorità saudite hanno rilasciato dichiarazioni di condanna degli eccessi dei militari israeliani a Gaza, inviato aiuti umanitari ai civili di Gaza e chiesto a più riprese un cessate il fuoco e una soluzione a due Stati, nel contempo le stesse hanno manifestato la loro disapprovazione delle atrocità del 7 Ottobre immediatamente dopo il massacro
- che l’antipatia saudita verso Hamas non deriva solo dal comportamento del gruppo all’interno di Gaza, ma dal fatto che Hamas, come a più riprese hanno sottolineato diversi intellettuali che guardano con favore alla casa reale saudita, ha islamizzato il conflitto (In questo senso Al-Mhuainy, ad esempio, ha sostenuto che i palestinesi che muoiono a Gaza non dovrebbero essere chiamati “martiri” ma “morti”, per evitare di suscitare emozioni religiose. E non è un caso che i programmi televisivi sauditi discutono dei pericoli dell’ideologia dei Fratelli Musulmani in quanto i sauditi operano un netto distinguo tra l’estremismo religioso ed il nazionalismo, rifiutando il primo ma accogliendo il secondo)
- e che, oltre a non essere chiaro se i palestinesi avranno mai una voce unitaria, la dichiarazione in tal senso sottoscritta in Cina da Fatah, Hamas e altre 12 fazioni palestinesi è stata accolta con alquanto scetticismo da una Arabia Saudita memore delle infruttuose passate simili conferenze palestinesi e sforzi di mediazione tra Fatah e Hamas (a tale proposito il quotidiano Okaz, con sede a Jedda, ne ha prontamente messo in dubbio la durata) in primo luogo per il fatto che il gruppo terroristico si oppone ai negoziati con Israele per una soluzione a due Stati,
diventa oltremodo più agevole dare credito alla lettura qui proposta del pronunciamento di MbS nonostante i toni forti palesemente adoperati a stretto uso e consumo degli interlocutori locali in un momento particolarmente delicato per la regione e la geopolitica globale gravata dal peso del possibile disimpegno USA: tanto per non rischiare di trovarsi in una situazione simil ucraina. Tanto per non parlare di quello che potrebbe accadere nel caso di qualche ulteriore fuga di notizie riservata dagli apparati dell’intelligence USA.
A prescindere dai toni forti usati da bin Salman, è quindi sì probabile che Ryadh, almeno per il momento, continui a fare pressioni a favore dei Palestinesi per una soluzione a due Stati, tuttavia è altamente improbabile che la sua ostilità nei confronti di Hamas –e quindi dell’Iran– cambi.
E sinceramente poco importa che per dare forza al discorso il gigante saudita dei media MBC Group abbia licenziato il suo direttore delle notizie, Musaed Al-Thubaiti, dopo che questi aveva mandato in onda, il 17 Ottobre 2024, un servizio un cui segmento, intitolato “Il millennio della liberazione dai terroristi”, era stato dedicato ai leader della resistenza regionale definiti senza mezzi termini “terroristi”. Nello specifico –merita sottolinearlo perché a mio avviso questo riflette in pensiero effettivo del Principe ereditario saudita– il servizio aveva equiparato le figure della resistenza come il defunto segretario generale di Hezbollah Sayyed Hassan Nasrallah, il capo del politburo di Hamas Ismail Haniyeh e la Resistenza islamica in Iraq a Oussama Bin Laden. Per somma anche il successore di Haniyeh, Yahya Sinwar – ucciso dalle forze israeliane a Gaza il 16 ottobre – era stato definito “il nuovo volto del terrorismo” –e per l’occasione anche al defunto vice capo delle Unità di Mobilitazione Popolare irachene Abu Mahdi Al-Muhandis ed al generale della Forza Quds iraniana Qasem Soleimani non era stato riservato un trattamento migliore.
In definitiva talvolta, come si suol dire, “Parigi val bene una Messa” e qui la posta in gioco è decisamente ampia: molto più ampia di quanto talvolta in Occidente si percepisca, o si voglia percepire.
Appendice: Il discorso del premier Netanyahu agli iraniani
“Qualche settimana fa ho parlato direttamente al popolo iraniano. Milioni di persone in tutto il mondo e milioni nello stesso Iran hanno visto quel video. E dopo averlo visto, molti iraniani si sono rivolti a Israele. Oggi, quindi, voglio rivolgermi ancora una volta al popolo iraniano.
Dall’ultima volta che abbiamo parlato, il regime di Khamenei ha lanciato centinaia di missili balistici contro il mio Paese, Israele. Mi chiedo: Vi ha detto quanto è costato quell’attacco? Beh, non sto tirando a indovinare. È di 2,3 miliardi di dollari. Questo è quanto del vostro prezioso denaro hanno sprecato in attacchi inutili.
I missili hanno fatto danni marginali a Israele, ma che danni hanno fatto a voi? Quella somma avrebbe potuto aggiungere miliardi al vostro budget per i trasporti. Avrebbe potuto aggiungere miliardi al vostro budget per l’istruzione.
Invece, Khamenei ha esposto la brutalità del regime e ha messo il mondo contro il vostro Paese. Vi ha derubato del denaro che avrebbe dovuto essere vostro.
Voglio che immaginiate – solo immaginare – come potrebbe essere diversa la vostra vita se l’Iran fosse libero. Potreste dire la vostra opinione senza paura. Potreste fare una battuta senza chiedervi se sareste portati nella prigione di Evin. Chiudete gli occhi. Immaginate i volti dei vostri figli, belle anime innocenti. Pensate all’infinito potenziale che avrebbero. Hanno tutta la vita davanti.
Immaginate come sarebbe la vita dei vostri figli se miliardi di dollari venissero investiti su di loro invece di essere sprecati in guerre che non possono essere vinte. Riceverebbero un’istruzione di livello mondiale. Voi ricevereste strade bellissime. Ospedali avanzati. Acqua pulita. Israele ha il sistema di desalinizzazione più avanzato del mondo e noi saremmo felici di aiutare a ricostruire le infrastrutture idriche iraniane che stanno crollando. Queste e molte altre sono le cose che potreste avere.
Ma è quello che il regime di Khamenei vi nega ogni giorno. Sono ossessionati dalla distruzione di Israele, piuttosto che dalla costruzione dell’Iran. Che peccato.
Un altro attacco a Israele non farebbe altro che paralizzare l’economia iraniana. Vi priverebbe di molti altri miliardi di dollari. So che non volete questa guerra. Nemmeno io la voglio. Il popolo di Israele non vuole questa guerra. C’è una sola forza che mette in grave pericolo la vostra famiglia: i tiranni di Teheran. È tutto.
Ma c’è anche una buona notizia. Ogni giorno quel regime si indebolisce. Ogni giorno, Israele diventa più forte. Il mondo ha visto solo una frazione della nostra potenza.
Eppure c’è una cosa che il regime di Khamenei teme più di Israele. Sapete qual è? Siete voi, il popolo iraniano. Ecco perché spendono così tanto tempo e denaro per cercare di schiacciare le vostre speranze e frenare i vostri sogni.
Ebbene, io vi dico questo: non lasciate morire i vostri sogni. Sento i sussurri: Donne, Vita, Libertà.
Zan, Zendegi, Azadi.
Non perdete la speranza. E sappiate che Israele e gli altri paesi del mondo libero sono al vostro fianco.
Il regime vuole distruggere il vostro futuro come cerca di distruggere il nostro Stato. Noi non lo permetteremo. Non ho dubbi che un giorno, in un Iran libero, israeliani e iraniani costruiranno insieme un futuro di prosperità e pace.
Questo è il futuro che Israele merita. Questo è il futuro che l’Iran merita. Insieme, trasformiamo questo bellissimo sogno in realtà”.