“Lo Yemen non interessa a nessuno, nel senso che a livello storico anche per l’Italia non è mai stato un Paese in grado di influenzare in qualche modo il nostro. La guerra che vi è in atto e che dura da quasi due anni, è un conflitto di cui nessuno parla. Questo anche perché è una guerra complicata, frutto di dinamiche che sono locali fino ad un certo punto evidentemente. Dinamiche che poi nella regione si riproducono a macchia d’olio. Alla base lo scontro tra l’Islam sciita e l’Islam sunnita e, naturalmente tutto quello che c’è dietro, come lo scontro di potere ed economico . Lo Yemen, inoltre, non è un’area di interesse geopolitico, di scarsissimo interesse economico. Soltanto lettori e ascoltatori più attenti e sofisticati sono magari in grado di capire, di interpretare cosa accade li, e perché sta accadendo tutto questo. Perché ovviamente gli interessi sono enormi, ma molto più sfaccettati di quanto sembri”. A parlare è Marco Guadagnino, portavoce dei Programmi internazionali dell’organizzazione internazionale di Save the Children, con il quale abbiamo voluto approfondire ancor più da vicino il tema della catastrofe umanitaria in Yemen, ancora troppo poco trattato nonostante il numero di morti, sfollati e feriti.
Essendo una realtà molto distante da noi si tende, come sempre, a voltare la testa dall’altra parte. E’ così?
“Si, ci si gira dall’altra parte, nonostante ci siano oltre 21milioni di persone all’interno del paese che hanno bisogno di assistenza sanitaria, di cui dieci milioni di bambini sostanzialmente privi di tutto. Allora, ancora una volta, la sofferenza silenziosa di questi bambini non può rimanere in alcun modo, inascoltata. Bisogna cercare di fare qualcosa. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, abbiamo lanciato delle micro storie sui bambini yemeniti. Diamo dei volti a questi piccoli a cui manca tutto. In modo di far avvicinare l’opinione pubblica a questi piccoli individui, “persone” che leggiamo molte volte solo come numeri o percentuali. C’è un bambina che ha racchiuso in una frase tutto ciò che si può solo intendere e non capire nella tranquillità del nostro vivere quotidiano: “ Ho paura che mia madre vada a fare la spesa e non ritorni più”. Questo perché per questi bambini che perdono chi uno, o tutti e due i genitori, la mamma in questo caso è tutto ciò che gli rimane e gli da sicurezza. Ogni giorno, chi esce dalla propria casa rischia seriamente di non fare ritorno, a causa dei bombardamenti continui e inarrestabili”.
Una situazione molto grave anche a livello psicologico per questi piccoli. Save the Children in questi territori ha anche equipe di psicologi per questo tipo di traumi all’ordine del giorno?
“Certo, assolutamente e non solo. Ci occupiamo anche di assistenza sanitaria, sicurezza alimentare, educazione, e ci stiamo concentrando anche su cose che vanno oltre le nostre normali mansioni, come sminamento e costruzione di nuove infrastrutture”.
Si parla di 1.210 casi verificati di bambini reclutati e 209 casi di bambini rapiti o arbitrariamente detenuti. Lei che sei stato presente in quei territori, puoi confermare il reclutamento di questi minori che vengono assoldati come piccoli guerriglieri?
“Si, è proprio così. Purtroppo c’è un serio problema di arruolamento”.
La vostra presenza costante in Yemen, vi ha mai creato dei problemi, magari proprio con queste persone in cerca di bambini orfani da arruolare?
“Problemi no, mai. Anche perché siamo presenti lì da tanti anni. Conoscono e rispettano il nostro lavoro. Ma una cosa è certa i bombardamenti non rispettano nessuno”.
Il vostro modus operandi qual è?
“Una delle caratteristiche principali di Save the Children è quella di avere uno staff quasi completamente composto da persone del luogo, in questo caso yemeniti. Il nostro personale inviato da altri paesi, è in numero molto ridotto rispetto ai residenti che abitano e operano lì. La maggior parte dei nostri colleghi sono locali. Con tutte quelle che sono le precauzioni del caso il nostro staff è molto radicato all’interno del territorio in cui operiamo”.
Questo è sicuramente il vostro punto forza per aiutarli al meglio e soprattutto mantenere e rispettare le loro abitudini e usanze.
“Conoscere la cultura e le usanze del paese in cui operi, vuol dire riuscire ad intervenire in modo più diretto e appropriato. Si riescono a creare così i contatti giusti per operare al meglio. I nostri programmi sono molto delicati soprattutto quando vai a lavorare nel mondo della maternità in questi luoghi hai bisogno di donne che conoscano la lingua, le usanze e le tradizioni. Inoltre, collaborando con il personale del posto, dai un lavoro. Un medico da fuori costerebbe molto di più. E loro sono molto competenti”.
In Yemen quali sono le maggiori difficoltà che trovate in questi ultimi tempi?
“Lo Yemen è un contesto molto complicato su cui intervenire. Molte volte le scorte di medicinali e alimenti non riescono ad arrivare perché i voli sono inagibili. Capire quali sono le dinamiche aiuta tantissimo, anche se ogni giorno ci troviamo ad affrontare difficoltà enormi, pazzesche dal punto di vista logistico e di sicurezza. Ma essere conosciuti da tempo, sul campo ci aiuta tantissimo”.
Voi di Save the Children che scenario futuro immaginate per i territori in guerra yemeniti. Quanto possono resistere ancora? Dobbiamo attendere la fine della guerra in Siria per far sì che qualcuno si accorga anche della loro situazione?
“In questo momento ovviamente gli occhi del mondo sono tutti puntati sulla Siria. La situazione è complicata proprio perché non c’è un forte interesse internazionale, e potrebbe prolungarsi ancora per parecchio tempo. Constatiamo solo brevi tregue al conflitto delle durata al massimo di due giorni. Entrambe le parti si accusano vicendevolmente. C è un gioco fra loro infinito dove si riprende subito a sparare e bombardare. E questa situazione andrà avanti ancora per molto. Basti vedere il conflitto siriano, arrivato al settimo anno”.
Cosa si auspica di avere o raggiungere per lavorare al meglio, in questo paese che prosegue a veder morire giorno dopo giorno civili innocenti, fra cui milioni di bambini?
“Per aiutare davvero tutte queste persone servirebbe una tregua seria che consenta di assistere adeguatamente tutti i civili, in primis donne e bambini. Tregue sensate darebbero infatti modo a tutta questa gente di fuggire da queste città assediate. A me, la dinamica governativa o dei ribelli non interessa, mi interessa che si riesca ad avere una tregua vera, effettiva. E per esserci deve essere voluta da entrambe le parti, ma purtroppo questo non sarà mai così. Non al momento almeno. Quindi se io dovessi chiedere qualcosa a qualcuno chiederei una cessazione momentanea degli scontri che consentisse di portare soccorso a quelle persone intrappolate. Bisognerebbe pensare per un istante, a questo: ci siamo abituati al bombardamento della scuola e dell’ospedale? Siamo diventati cinici? La verità è che tutti giorni avvengono questi bombardamenti su ospedali e scuole, sia ad Aleppo che in Yemen, anche quando non se ne parla. E non deve essere la norma, come invece siamo abituati a vedere, leggere”.
In effetti da parte dei media c’è un certo sbilanciamento fra i grandi bombardamenti avvenuti ad Aleppo, e quelli in Yemen i quali vengono riportati raramente. Motivo?
“In Yemen non ci vanno proprio. Di “grandi guerre dimenticate” non c’è solo questa dello Yemen ma anche il Sudan. Dobbiamo pensare che a dispetto di una famiglia siriana, una famiglia yemenita non ha vie di fuga. Lo Yemen infatti ha al nord il paese dilaniato dalla guerra, e a sud il mare. I siriani, all’inizio almeno sono riusciti a scappare, in Giordania o in Libia, gli yemeniti invece dove possono scappare pur volendo? Da nessuna parte. Sono chiusi in trappola come topi, perennemente bombardati”.
Posso azzardare l’ipotesi che la guerra in Yemen non crei tanto clamore proprio perché tutto il disagio del conflitto rimane proprio su quei territori? Nel senso che la guerra in Siria ha creato una moltitudine di profughi arrivati nelle nostre terre, gli yemeniti invece, soffrono e muoiono li.
“Potrebbe essere essere una delle tante cause. Di sicuro lo Yemen non è un problema o un pericolo per l’Italia . La Siria è un paese che sta vivendo una tragica realtà, ma il livello di sofferenza dei yemeniti ora, in questo momento, è al pari della Siria dal punto di vista dei bambini e non solo. Le immagini della Bbc hanno mostrato, scenari che lasciano poco spazio alle parole. Dicono tutto di che situazione grave ci sia. In questo momento lo Yemen è un posto che non è possibile visitare e documentare”.
Qualche bambino le ha mai chiesto: “Voglio andare via, portami via da qui” ?
“No, non me l’hanno mai chiesto. I loro sogni sono legati a che tutto questo finisca. Vogliono cose semplici come la tranquillità, la pace. Vogliono diventare maestri o medici. Nonostante ad oggi 350mila bambini, una cifra enorme, sono fuori dal ciclo scolastico. E la scuola è fondamentale per i piccoli perché è un luogo dove poter immaginare e costruire il proprio futuro. Sia per sé che per il proprio paese. La vera complessità di ciò che sta accadendo lì, si potrà capire solo quando tutto questo terminerà. Ci saranno da ricostruire non solo le case, le strade, le infrastrutture come ospedali e scuole, ma anche le vite di questi bambini e delle loro famiglie. Soprattutto a livello psicologico. Nei prossimi decenni, speriamo a conflitto finito si vedranno i risultati di questa grave crisi umanitaria in Yemen. Perché la guerra può anche finire domani, ma ad oggi, come si rimette in piedi questo paese che è praticamente scomparso? Noi comunque saremo lì, come sempre”.