Dal focolare al web 2.0. Secondo una ricerca condotta da FattoreMamma e 2B Research, su un campione di oltre 1200 mamme, oltre il 92% utilizza uno smartphone e sfrutta le potenzialità della rete e dei Social in modo consapevole. In poche parole “si può affermare che le mamme italiane siano alla guida della rivoluzione digitale, al fianco degli adolescenti”, afferma Iolanda Restano, imprenditrice, scrittrice e fondatrice di FattoreMamma che ha realizzato il sondaggio presentato in Parlamento.
Il segreto di questo “matrimonio” felice, secondo Maria Luisa Bionda di 2BResearch, è da ricercarsi in più caratteristiche del medium: è al contempo un hub di comunicazione, di contenuti e di emozioni. E’ un’interfaccia privilegiata con il mondo dell’informazione, soprattutto perché si accede ovunque e quando si ha tempo. Permette di tenere il filo con la propria vita al di là della dimensione della maternità, specie nei primi mesi dopo la nascita del bambino, diventando in pratica un antidoto contro la solitudine.
In principio c’era il blog
Ma per le donne la rete è anche un’opportunità di lavoro. Sono loro le regine dello smart working (il lavoro agile, basato sulle tecnologie mobili) e della GIG economy (si lavora on demand, cioè solo quando c’è richiesta per i propri servizi, prodotti o competenze). Tutto è cominciato con gli sfoghi serali su un’anonima pagina web, che ben presto ha finito per trasformare le mamme in una comunità: scambio di idee, di esperienze, di informazioni.
Le aziende non hanno tardato a fiutare il business nel fenomeno del mommy-blogging e le mamme a prendere coscienza delle potenzialità che la rete offriva loro: influencer, opinionist e commercio virtuale. Molte donne che, con la maternità hanno perso il lavoro nel web si sono reinventate una professione. Secondo l’Istat, infatti, è pari al 22% la percentuale delle madri occupate prima dell’inizio della gravidanza, che non lo sono più dopo un paio di anni dalla nascita del bambino. I dati comprendono anche chi ha lasciato il lavoro per scelta, anche se spesso la scelta è obbligata da fattori, quali, per esempio, la carenza di servizi all’infanzia.
Dall’ufficio al focolare: e se fosse una fregatura?
“Non è che, così facendo, lo smatphone finirà per allontanare le donne dal mondo del lavoro “reale”, dalle posizioni di potere, per riportarle dove si pensa che debbano stare, cioè a casa”?, si chiede Silvia Tropea, avvocato e blogger. Secondo Roberto Scano, esperto per la normazione e diffusione delle competenze digitali e Agenzia per l’Italia Digitale, la diffusione dello smart working è un processo irreversibile, che non riguarda solo le donne.
Non solo lavoro
Quella attuale è una legislatura ad alta presenza femminile, ha sottolineato l’onorevole Titti De Salvo, e ciò ha permesso che si promulgassero varie leggi a sostegno della maternità. Anche il web è una risorsa in tal senso. Grazie ad esso, infatti, è stato possibile superare la cattiva prassi di far firmare alle donne all’atto dell’assunzione una lettera di dimissioni in bianco. Oggi il lavoratore, per potersi licenziare, deve scaricare da internet un modulo con un numero progressivo, rendendo di fatto impossibile la posticipazione della data.
Un paese che sta invecchiando
Secondo l’Istat dal 2009 al 2012 c’è stato un calo delle nascite pari al 9%. La decrescita è ormai da molti anni una tendenza costante. Se i dati della ricerca sono sconfortanti, secondo l’onorevole Enrico Costa, ministro per gli Affari regionali e le autonomie, bisogna ritrovare l’ottimismo in un altro dato sempre fornito dall’Istat: se la media di figli per donna è pari all’1,34, le mamme intervistate hanno dichiarato che in realtà ne avrebbero voluti due. Ciò che influisce sulla scelta di avere un solo figlio sono i problemi nella conciliazione, la carenza dei servizi e le difficoltà economiche. “Per quanto riguarda gli interventi legislativi – ha aggiunto – ciò che più è importante, è la coerenza e la continuità degli interventi nel corso del tempo”. Le famiglie, in altre parole, devono sapere su cosa poter contare. E in tal senso, sempre secondo il ministro, sarebbe utile avere una legislazione coerente, un testo unico della famiglia.
Forse il web ci salverà
Se le ricerche demografiche dell’Istat ci forniscono dati per lo più sconfortanti, quelle sulla parità di genere non sono meglio: se si registrano trend positivi in quasi tutti gli ambiti, quando si paragonano i dati raccolti a quelli degli altri paesi d’Europa, si riscontra un gap davvero impressionante.
Ma non bisogna disperare. Secondo Mirna Pacchetti, CEO di InTribe, una società che analizza i big data, seppur lenta la rivoluzione è cominciata, proprio partendo dal basso e dal web, ed è ineluttabile: fra quindici anni la parità di genere sarà completa.
@SimonaRivelli