Timor Est è un piccolo stato nato appena 20 anni fa, parte dell’Isola di Timor nell’Oceano Pacifico. È teatro di una missione di pace oggi caduta nel dimenticatoio. L’isola si trova a due ore di volo dall’Australia settentrionale e a ventiquattro dall’Italia, dunque lontanissima, e nella quale, sin dall’inizio delle operazioni, era difficile per gli italiani capire quali fossero gli interessi in ballo per il Paese.
L’antefatto
A fine agosto ’99 nell’ex colonia portoghese di Timor si svolge un referendum per l’autodeterminazione e per l’indipendenza della parte orientale dell’isola. Il voto nasce da un accordo fra il Portogallo (dal quale Timor ha dipeso fino al 1975) e l’Indonesia la cui giurisdizione si estende a tutto il territorio isolano. A supervisionare la consultazione c’è la missione Onu Unamet (United Nations Mission in East Timor). La vittoria schiacciante dei favorevoli all’indipendenza (78,5%) porta a duri scontri: Timor Est è infatti l’unica zona a maggioranza cattolica, in un “mare” musulmano. Le violenze, perpetrate da milizie filo-governative, investono anche il personale Onu che viene evacuato. Di fronte ad una situazione fuori controllo, con la Risoluzione 1264 il Consiglio di sicurezza ordina di schierare a Timor Est Interfet (International Force East Timor), posto sotto comando australiano. Le prime truppe sbarcano il 20 settembre.
L’Italia
La partecipazione di Roma arriva in contemporanea al coinvolgimento nella missione Kfor (Kosovo Force) e a breve da altri importanti impegni internazionali, come i due teatri africani di Mozambico e Somalia. Il preavviso, stavolta, è minore rispetto alle precedenti esperienze ma il dispiegamento dei 600 militari al comando del Generale Giorgio Cornacchione è pressoché immed
Un contesto non facile
Cornacchione ricorda che ad Interfet partecipano paesi diversi, alcuni dei quali stretti e vecchi alleati dell’Italia (Usa, Gran Bretagna e Francia) con i quali si condividevano esperienze, standard e procedure. Un banco di prova importante, dunque, che vede gli italiani guadagnarsi il rispetto e la considerazione di neozelandesi, sudcoreani, brasiliani, australiani e altri. Ma se la diversità operativa è magari un “problema” solo iniziale, clima e salute perseguitano il contingente per tutta la durata della sua presenza a Timor Est: “Pur nella ristrettezza dei tempi di approntamento, dovemmo sottoporre tutto il personale a una serie di vaccinazioni specifiche, oltre a quelle normalmente previste, che comprendeva in particolare il vaccino contro la febbre gialla e quello contro l’encefalite giapponese, endemica sull’isola e molto temuta per l’elevato tasso di mortalità di chi la contrae. Fu inoltre necessario sottoporsi alla profilassi anti-malarica per tutto il periodo di permanenza sull’isola, dove è endemica la febbre di dengue”. La terribile dengue causa una vittima fra i brasiliani e colpisce anche il Generale Cornacchione, rimasto tuttavia a capo del contingente fino al definitivo passaggio di consegne a Untaet (United Nations Transitional Administration in East Timor), missione diplomatica dell’Onu guidata dal funzionario brasiliano Vieira De Mello.
Interessi e memoria
Quale ritorno ha avuto l’Italia da quella prova a 12 mila chilometri da casa? Nessun interesse geopolitico o energetico, solo un intervento umanitario a sostegno della comunità cattolica che subisce vittime anche fra i religiosi. “L’elemento umanitario ha caratterizzato anche un’altra missione, la più lunga alla quale abbiamo partecipato: l’Afghanistan. Questo per dire come fra gli interessi di un paese rientrino anche i fattori credibilità, immagine e prestigio internazionali che noi italiani ci siamo guadagnati a Timor Est (e non solo), nonostante gli stretti tempi di dispiegamento, la grande lontananza geografica e un contesto particolarmente delicato. Le parole del comandante di Interfet (Peter Cosgrove, nda), forse, spiegano il concetto più di altre: se in futuro dovesse venirmi nuovamente assegnata una missione di questo impegno, per prima cosa chiederei di poter disporre dei soldati italiani. Fu questo il commiato rivolto, con una stretta di mano, al comandante del nostro contingente”.
Fortunatamente nessun italiano perse la vita a Timor Est
L’impegno di uomini e mezzi fu comunque considerevole e basato su unità particolarmente addestrate, dal Comsubin della Marina Militare al “Tuscania” e alla “Folgore”. Questo a dimostrazione della complessità dello scenario operativo. Un eccellente lavoro di cui, tuttavia, si è nel tempo persa memoria. Non che il Libano, la Somalia, la Bosnia siano oggi universalmente noti, specie fra i più giovani. Ma forse proprio per la lontananza geografica (e ormai temporale) i ricordi di quel ’99 si sono decisamente diradati.
È probabile che impegni più lunghi (e dal costo umano più elevato) abbiano guadagnato maggiore “popolarità” agli occhi di un Paese che, suo malgrado, sa ben poco del mondo militare, ignaro inoltre che la professionalità delle nostre forze armate è riconosciuta ed apprezzata ovunque, non solo a Timor Est.
Foto credits: per gentile concessione Gen. Cornacchione