Gli ultimi giorni dell’anno servono a fare il punto della situazione e per questo Eurispes è uscito con il primo rapporto sul sistema sanitario italiano che, da una parte conferma la drammaticità di alcuni problemi nella sanità pubblica, ma dall’altra mette in luce aspetti di miglioramento.
Il rapporto dichiara che in Italia si investe il 14, 1% della spesa pubblica nel sistema sanitario e, in una visione complessiva, il BelPaese sta sotto la media europea di 1,1%. Inoltre, l’Italia si posiziona tra i primi sei paesi ‘meno soddisfatti’ delle cure mediche ricevute, con il 7,2%. Più insoddisfatti risultano però i greci e gli estoni, con percentuali superiori al 12%.
Complessivamente la maggioranza dei Paesi registra valori inferiori al 3%, valore percentuale che va dunque considerato come livello di riferimento rispetto alla percezione dei cittadini.
“Questo Rapporto – dichiara Gian Maria Fara, Presidente Eurispes – ha voluto osservare il sistema della sanità, con l’obiettivo di ‘prendere contatto’ con i diversi temi e le maggiori contraddizioni di un Sistema sanitario Nazionale per il quale è difficile esprimere una valutazione univoca, in grado di comprendere in sé le molte carenze come pure le tante eccellenze. Occorre soprattutto ricordare che, nonostante i ritardi e i problemi, il nostro Sistema sanitario nel confronto internazionale rimane uno dei migliori al mondo per la capacità di assicurare la salute dei nostri cittadini”.
Il 10% degli occupati italiani lavora nella sanità
Secondo dati Istat nel comparto sanità sono state occupate 1.796.000 risorse. Poiché nel sistema sanitario però sono tante le figure, non solo mediche ma anche di assistenza, Eurispes aggiunge tra le 300.000 e le 400.000 unità, portando il totale a circa 2.200.000 addetti, ovvero ad una quota vicina al 10% del totale occupati in Italia.
Di questi il 75% è dedicato all’assistenza sanitaria, il rimanente 25% è per i servizi alle famiglie e all’assistenza sociale.
I servizi ospedalieri assorbono il 44,4% degli addetti. Questo comparto è il più numeroso e al suo interno operano diverse figure. A prevalere sono le professioni sanitarie, infermieristiche e ostetriche (43%), mentre il 18,1% del personale è addetto a mansioni non afferenti le professioni sanitarie.
L’82,5% è personale dipendente, mentre la quota rimanente si distribuisce tra lavoro autonomo, collaborazioni e forme cooperativistiche.
Il medico di base una figura che scomparirà
Il Rapporto sottolinea che da 7 anni a questa parte, ossia da quando il turn-over delle figure professionali è fermo, si stanno perdendo figure professionali che non vengono sostituite con veri contratti ma con lavori a chiamata o a breve termine.
Di fatto il tema del precariato rimane critico. Professioni come quella del medico di base, infatti, in futuro avranno dei “vuoti incolmabili”. Secondo alcuni dati del ministero della Salute del 2012, ci sono 45.437 medici di medicina generale, ma secondo una stima della Federazione italiana dei medici di Famiglia, 21.700 di questi andranno in pensione entro il 2023.
Il numero di medici giovani in ingresso a questa professione non sarà superiore ai 6.000. Un dato che preoccupa visto che mancherebbero più di 16.000 professioni e molti cittadini, con questa prospettiva, non avranno un medico di base a cui rivolgersi.
Le diseguaglianze da regione a regione
Il Rapporto evidenzia delle disuguaglianze tra regione e regione. Perché se da una parte la sanità pubblica si avvale sempre più di nuove apparecchiature tecnologiche dedicate alla salute del paziente, dall’altra esistono regioni italiane che ne sono fortemente in carenza.
Esistono, ad esempio, circa 106,2 mammografi ogni 1.000.000 di abitanti, con valori che superano i 150, in Valle d’Aosta e Umbria. Ma la regione che registra il rapporto minore tra apparecchiature tecnico-biomediche e abitanti è la Campania, mentre si riscontrano percentuali più elevate in regioni più piccole come il Molise e la Val d’Aosta.
La Campania registra anche i più bassi numeri di l’apparecchi dedicati all’emodialisi.
Il tema dei Pronto Soccorso
Un altro tema approfondito da Eurispes è la medicina d’urgenza.
“Il pronto soccorso – si legge nel Rapporto – è la struttura cui il cittadino dovrebbe ricorrere nell’immediatezza di un evento patologico grave o che, comunque, genera apprensioni, ma la mancanza di altri efficaci presidi territoriali ne snatura la funzione, e lo rende il terminale obbligato di bisogni altri che si scaricano su strutture stressate fino al collasso”.
È stato calcolato che negli 844 presidi di medicina d’urgenza presenti sul territorio, ci siano mediamente 2.800 accessi ogni ora, che generano annualmente circa 24.000.000 di visite. 3.500.000 di pazienti “entrano” nei reparti ospedalieri proprio attraverso i pronto soccorso, presenti nell’81,6% degli ospedali, e quelli pediatrici nel 17,5%. La media (2013) di 3,4 accessi ogni 10 abitanti è il dato che evidenzia l’abnorme utilizzo che si fa dei presidi di medicina d’emergenza. Ancora più indicativa è la percentuale dei ricoveri ospedalieri che si realizzano attraverso i pronto soccorso: il 14,7%. Quest’ultimo indicatore si presenta altamente variabile a livello territoriale: a fronte di una percentuale di ricovero pari all’11% registrato nella regione Piemonte, si raggiungono valori pari a 26,7% nella regione Molise.
I pronto soccorso pediatrici riscontrano 1,6 accessi ogni 10 abitanti fino a 18 anni di età, e nell’8,2% si risolvono con il ricovero.
Troppi ricoveri aggravano cronica carenza posti letto
“L’impatto di questi ricoveri ‘da emergenza’- continua Eurispes– aggrava la cronica carenza di posti letto in alcune regioni, impedendo una programmazione più accorta delle risorse degli ospedali. Da ciò discende quello che viene assai spesso denunciato dai media: il crearsi di situazioni di affollamento che costringono il paziente a sostare nei corridoi o nelle sale d’attesa prima di poter accedere ai reparti, una volta che si sia liberato l’agognato posto letto. Prima ancora dell’attesa per poter accedere in reparto, e cha va dalle 24 alle 72 ore, l’eccessivo ricorso ai pronto soccorso genera paradossali aree di criticità in relazione agli spazi e alle dotazioni propri”.
Il tema degli sprechi e della corruzione
Il Rapporto ha spaziato anche nella problematica degli sprechi e dei fenomeni corruttivi presenti nella sanità pubblica e tranquillizza gli italiani dichiarando che il Paese è nella media europea in questione di illegalità. Le stime più accreditate circa il tasso medio di corruzione e frode in sanità stimano nel 5,59%, con un range che spazia tra il 3,29 e il 10%.
“Se si applicassero questi valori alla situazione italiana, che per ciò che riguarda la spesa pubblica vale circa 113 miliardi di euro l’anno, ciò si tradurrebbe in un danno di circa di 6,5 miliardi di euro l’anno”, spiega Eurispes.
“Se poi alla stima dell’impatto della corruzione sommiamo quella dell’inefficienza della spesa pubblica nel comparto sanitario (che inciderebbe per il 3% del totale) e il peso degli sprechi, valutato nell’ordine del 18% della spesa totale, l’insieme delle pratiche corruttive, degli sprechi e delle inefficienze, costerebbero annualmente al nostro Paese ben 23,6 miliardi di euro”.
Forte impegno da parte delle forze dell’ordine nel contrasto all’illegalità
Eurispes ha però voluto sottolineare l’efficienza delle forze dell’ordine che hanno contrastato in maniera eccellente ogni tipo di illegalità nel settore sanitario.
“L’attività dei Carabinieri per la tutela della Salute ha prodotto solo nel 2016 ben 13.881 operazioni di controllo nell’area della sicurezza sanitaria e farmaceutica”, spiega il Rapporto.
“Il valore complessivo delle sanzioni amministrative è stato di euro 6.151.019. Il valore dei beni sequestrati è stato di 165.347.185 euro. Sono state chiuse o sequestrate 237 strutture, sequestrati 38.002 dispositivi e presidi medici, 727,933 confezioni di farmaci e 473.010 compresse”, conclude Eurispes.