“Il business finirà solo quando non esisteranno più i parchi acquatici”. Dal Giappone alle isole Far Oer, Eugenio Fogli, medico veterinario e documentatore subacqueo, da qualche anno è entrato a far parte di Sea Sheperd, l’organizzazione no-profit fondata negli Stati Uniti e presente anche in Italia.
“Si astengano piagnucoloni, scontenti, gli amanti del materasso e i fifoni”, e’ questo il richiamo della sezione volontari nel sito italiano dell’organizzazione. Dottore, cosa implica far parte di Sea Shepherd?
“Quello dei volontari di Sea Shepherd (in questa specifica campagna) è un ruolo importante, ma frustrante. Quella dei ‘pirati buoni’ è una battaglia continua, non a caso la campagna di Taiji ha preso il nome “Infinite Patience”. Per sei mesi volontari arrivano da tutto il mondo in Giappone e si davano il cambio. Rimani sorpreso dalle capacità e dalla volontà di ragazze e ragazze giovanissimi, di 19-20 anni, che arrivano qua da soli. L’obiettivo è documentare il più possibile, scattare le foto dei momenti clou e mostrare ciò che rimarrebbe nascosto”.
Ogni anno a Taiji vengono uccisi circa 23.000 delfini. Qual è la situazione attuale? In queste settimane su molti siti è comparso il video, girato dall’attivista Liz Carter, di una mamma delfino che si accanisce contro i sub per salvare il piccolo. È una scena comune per voi?
“Si, purtroppo sì. Quelli che intrappolano sono sempre gruppi, famiglie. Ricordo l’immagine di un delfino cucciolo che era riuscito a oltrepassare le reti, ma invece di prendere il largo è rimasto dall’altra parte della barricata… non voleva abbandonare il gruppo. La situazione purtroppo è sempre la stessa, dopo il clamore e l’attenzione mediatica mondiale del 2010, dovuta al film “The Cove”, la situazione a Taiji è tornata la stessa”.
Nel documentario, Ric O’Barry, attivista ed ex addestratore di delfini (nonché della star tv Flipper), racconta la sua decisione di abbandonare quel mondo e quei guadagni e ammette di essere stato ignorante in gioventù. Quanta ignoranza c’è ancora su questo tema e sull’intelligenza dei cetacei?
“Fino al 2010 nemmeno i giapponesi sapevano dell’esistenza della baia. Le immagini in notturna che si vedono nel film sono le prime in assoluto mai catturate su quei luoghi. Dopo la vittoria del premio Oscar le iniziative si sono moltiplicate e si pensava che con una tale risonanza (il film era stato visto in tutto il mondo) le cose sarebbero cambiate. Ma, trascorsi due o tre anni era calato di nuovo il silenzio. E proprio per questo motivo che sono ormai anni che Sea Shepherd porta avanti la campagna a Taiji, con la presenza dei Cove Guardians. Per tenere viva l’attenzione su questo massacro. Quello di cui ci si rende conto nel momento in cui si fa ricerca e si vive a stretto contatto con questi animali, è di quanto sia evoluto il loro cervello”.
Il 21 dicembre, la Sea Shepherd Conservation Society (gruppo americano fondatore) ha lanciato una campagna per mostrare quanto sia inaccettabile ridurre i cetacei in cattività. Il 14 febbraio si è celebrato, come ogni anno, il giorno internazionale dell’amore per i delfini, e i volontari di Sea Shepherd hanno sostenuto l’iniziativa presentandosi davanti a tutte le ambasciate giapponesi.
“Sì, saremo presenti anche alla manifestazione di Genova il 18 febbraio (il corteo degli animalisti contro le “Prigioni marine” che partirà proprio davanti all’Acquario, ndr). Sea Shepherd non è un movimento di protesta, normalmente non partecipiamo attivamente alle manifestazioni, è un movimento d’azione. Anche a Taiji la missione è nata con questo principio. Nei primi interventi gli attivisti hanno liberato numerosi delfini. Ma quando arrivi lì hai tutto contro. La polizia ti segue 24 ore su 24, controlla tutto quello che fai. Quindi Sea Shepherd ha deciso di intraprendere campagne che non vìolino la legge del Paese, visto che lì, occorre ricordarlo, tutto quello che accade è legale. Dal 2014, quando la ribalta sulla caccia è stata mondiale, per la seconda volta dopo l’uscita di “The Cove”, numerosi volontari sono stati arrestati o respinti ancor prima all’aeroporto. Una volta che sei entrato a Taiji sei schedato, anche per questo occorrono sempre nuove forze. E anche per questo abbiamo deciso di documentare, secondo per secondo, quello che avviene durante quei sei mesi (http://shopeu.seashepherd.org/cove-guardians/livestream.html), armati, come sostiene Paul Watson, fondatore di Sea Shepherd, dell’arma più importante: la telecamera”.
Proprio nel dicembre scorso il Capitano inglese, Jesse Treverton, è stata bloccata all’aeroporto di Osaka al suo ritorno in Giappone, dopo aver partecipato alla campagna di Taiji fin da settembre. I gruppi di attivisti sono sempre più efficaci, ma come si comportano i governi di fronte a questa abitudine?
“I governi non hanno nessuna voglia di intraprendere una battaglia per i delfini. È una questione economica. Australia e Nuova Zelanda ad esempio potrebbero bloccare le baleniere giapponesi, ma questo ha un costo, ed è un costo elevato. Nel 2014, quando io ero a Taiji, l’ambasciatore italiano si mosse per rappresentare il disappunto su quanto stava avvenendo, ma le azioni di contrasto le portano avanti sempre gruppi di persone. Ora sta accadendo con il Comitato che si oppone alle Olimpiadi 2020 in Giappone. C’è da dire poi, che la popolazione è fondamentalmente contraria. In Australia ad esempio quasi tutti sono contro la caccia alle balene”.
Visto che parliamo di un’abitudine culturale, è interessante il “Progetto scuole” che Sea Shepherd ha iniziato in Italia.
“Sì, abbiamo deciso di andare a parlare ai ragazzi di queste situazioni. Soprattutto per fargli capire che quello che succede a Taiji accade perché qui, vicino a noi, esistono i delfinari. E’ quello il business maggiore della strage. Non la carne. Scelgono i delfini più carini, senza ferite, più malleabili, fanno un addestramento preliminare e poi li spediscono per tutto il mondo per intrattenere gli spettatori.
Attraversiamo tutti i gradi dell’istruzione, dalle elementari ai licei e anche le università. I ragazzi sono entusiasti, capiscono subito quale sia il problema e sono interessati a conoscere sempre di più. Per questo dalle scuole continuano a chiamarci. Sea Shepherd porta avanti una formazione precisa per chi andrà a parlare con i giovani, per utilizzare il linguaggio e le immagini adatte a seconda dei ragazzi.
L’importante è fare capire che questo business finirà solo quando non esisteranno più i parchi acquatici”.
Perché quello che avviene in Giappone è espressamente un business, ancora diverso da ciò che accade nelle Isole Far Oer, dove ogni anno, la Grindadráp, la caccia alle balene, provoca quasi mille uccisioni?
“Mettono davanti l’identità personale. Togliere loro la caccia alle balene sarebbe come togliere il calcio ai romani o la corrida agli spagnoli. È una decisione contro di loro, contro la loro vita. Ma è un percorso culturale. Si tratta di provare a cambiare idea mettendo in discussione la propria identità”.