“L’acqua faceva schifo. Sapeva di letame e fertilizzanti. Si rinfrescò la faccia pensando alle statistiche che mettevano la provincia di Cremona tra le prime in fatto di tumori. I medici davano la colpa alle sostanze impiegate in agricoltura, fertilizzanti e diserbanti che ormai avevano invaso la falda acquifera”. Così viene raccontata Cremona da Mario Mantovani, nel suo libro “Voci d’acqua”, un viaggio nella Pianura Padana che attraversa decenni di storia e i corsi dei fiumi Po, Adda, Oglio e Serio. Un centro inquinato in cui rinfrescarsi significa esporsi alla malattia. Una storia che continua a ripetersi e affligge una città che ha sviluppato la sua economia sull’agricoltura e l’industria alimentare proprio intorno alle rive del maestoso Po. Oggi il problema non sono più solamente i fertilizzanti, ma Cremona convive ancora con un enorme inquinamento causato dalla fabbrica Tamoil. La storia inizia quindici anni fa.
Marzo 2001. La società Tamoil, attiva una serie di “autodenunce finalizzate alla messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, in base alla normativa sulle bonifiche prevista dal D.M. 471/1999” (dossier Cattive Acque 2015 di Legambiente). Lo stabilimento, presente dagli anni 50, occupa uno spazio di 800.000 metri quadri sulle rive del fiume Po, vicino di casa degli storici circoli dei Canottieri, e produce (nel 2010) 5 milioni di tonnellate all’anno di benzine, gasoli, fuel oil, keresone e gpl.
Sei anni dopo, scoppia lo scandalo inquinamento. Secondo alcuni organi di stampa, la fabbrica sarebbe responsabile della contaminazione del sottosuolo e della falda acquifera.
Il dossier di Legambiente recita: “Nelle aree esterne delle Canottieri, nel periodo di avvio delle indagini preliminari, sono stati riscontrati elevatissimi livelli di contaminazione da idrocarburi, anche migliaia di volte superiori ai limiti di legge. Ad esempio nel dicembre 2007 in uno dei pozzi per il monitoraggio dell’acqua della falda superficiale nell’area della Canottieri Bissolati sono stati riscontrati dall’Arpa valori pari a 13.628 µg/l di idrocarburi totali e 23.000 µg/l di benzene”.
Dopo anni di verifiche, perizie e più di 40 udienze, il processo alla fabbrica Tamoil è terminato nel giugno 2016. I giudici hanno accertato l’inquinamento delle falde acquifere e del territorio sotto l’industria, ma l’iniziale accusa per avvelenamento delle acque si è tradotta in una condanna per disastro colposo, diventata definitiva nel giugno 2016 per il solo manager Enrico Gilberti. Tutti gli altri vertici dell’azienda sono stati assolti.
Lo stabilimento è ormai chiuso dal 2011, declassato a funzione di deposito. Ma a cinque anni dalla chiusura, ciò che rimane senza risposta sono i tempi della bonifica. Nessun progetto concreto è stato attivato. Come conferma il ‘Circolo VedoVerde Legambiente Cremona’, “gli ultimi dati dell’Arpa confermano come la contaminazione da idrocarburi abbia interessato sia le falde superficiali che profonde, anche se mostrano un miglioramento”. Il Ministero ha accordato l’autorizzazione alla dismissione (cioè la rimozione fisica degli impianti inutilizzati), alla fine del 2013, concedendo tre anni di tempo all’azienda per fissare modi e tempi dell’intervento. Oggi, alla scadenza dei tre anni, la situazione è tutt’altro che chiara, come le acque della città. Tra fine ottobre e novembre è previsto un altro dibattito pubblico per confrontarsi sulla situazione. Finora, gli incontri tra l’assessorato e i manager della Tamoil sono stati solo buchi nell’acqua e nessuno è in grado di fornire tempi esatti o informazioni precise.
Oltre all’avvelenamento del suolo, la chiusura della raffineria ha portato al licenziamento di oltre 1000 lavoratori, mentre solo alcune centinaia sono rimaste occupate nel centro di smistamento con nuove mansioni. Un altro peso per la cittadinanza di un Comune che continua a battere record negativi.
Da anni Cremona è soffocata dall’inquinamento dell’aria. Una ricerca pubblicata dal Sole 24 Ore mostra come sia pericoloso il livello di PM10 e ozono. Una concentrazione media pari a 143 µg/m³ che ne fa una delle città più inquinate d’Europa. Il limite è 120, da non superare per più di 35 giorni l’anno. A Cremona, quei valori vengono valicati quasi quotidianamente. Difficile non mettere in relazione tutto questo con la narrazione di Mantovani, perché la vera persecuzione della zona è l’elevata incidenza di malattie tumorali e cardiocircolatorie. Secondo la ricerca di Exposanità (dati Istat), su un totale di circa 4000 decessi, quasi il 70% vengono da questo tipo di patologie. Percentuali che superano le medie del Nord-est e anche della penisola di circa l’1,2%. Ma il dato più preoccupante arriva dal Dipartimento di oncologia della provincia di Cremona, che segnala la mortalità quasi doppia (+85%) dei tumori allo stomaco, nella popolazione maschile cremonese, rispetto al resto d’Italia.