Il Brexit sta diventando l’argomento più scottante dell’ultimo lustro, per ottime ragioni. Al di fuori della reale probabilità di accadimento – fattore esogeno per quanto riguarda il resto d’Europa, ovvero saranno solo i britannici a decidere – resta il fatto che detto evento sembra sempre più probabile non fosse altro per l’incredibile differenza tra le probabilità di cui ai sondaggi (normalmente pro-Brexit) e quelle derivati dalle quote dei bookmakers locali, dietro alle cui quote estremamente euro-favorevoli sembrano celarsi dubbi su possibili manipolazioni per il tramite di svariate decine di milioni scommesse da lunghe mani, nulla a confronto della posta in gioco.
Londra ha tutto l’interesse ad uscire dall’Ue, per svariate ragioni. Possiamo iniziare con una bilancia dei pagamenti britannica estremamente squilibrata, la situazione peculiare della perfida Albione in seno all’Ue ma fuori dalla moneta unica ha infatti causato un forte apprezzamento della sterlina la quale ha contribuito ad alimentare consumi enormi, con la conseguenza di un forte squilibrio nella bilancia dei pagamenti soprattutto commerciale, come si nota di seguito.
Si potrebbe anche citare la ormai periferica importanza di Londra nelle decisioni europee, fatto che la spingerà sempre più nelle grinfie di euroburocrati interessati, in attuazione di leggi fatte apposta per massimizzare i vantaggi per i poteri centrali e non i paesi nel perimetro esterno, Gran Bretagna inclusa.
Certamente va menzionata la criticità data da una sterlina oggi ancora valuta di riserva per motivi storici, fu la valuta imperiale, ma con fondamentali che oggi sempre più non ne giustificano il peso politico-istituzionale-monetario. E non ultimo il cattivo sangue che da sempre corre tra Berlino e Londra, i due veri arcirivali in Europa.
Se poi passiamo dalla difesa all’attacco ecco che scopriamo che Londra appare davvero ben posizionata nelle more di un futuro Brexit: sembra infatti che i contratti-quadro commerciali con le sue ex colonie/paesi del Commonwealth siano pronti per la firma, una specie di surrogato del Ttip ma tra paesi legati da vincoli storici ed anglosassoni. Parlo quindi di Australia, Nuova Zelanda, Canada solo per citare i maggiori. Parallelamente è chiarissimo che un minuto dopo un eventuale “si” all’abbandono a tutto tondo a questa Europa tanto austera quanto insulsa arriverebbe l’invito a tutti i paesi EU scontenti del nuovo assetto neocoloniale tedesco in Europa ad entrare in una alleanza monetaria/commerciale più flessibile con Londra, nelle forme da definire (…). Ricordiamo che comunque per i britannici non è tanto importante dare sostanza alla propri valuta sovrana con eventuali aggregazioni di sorta ma anche solamente mettere in difficoltà i rivali continentali, leggasi Germania e Francia, come da dura legge della storia europea. Certamente la sirena inglese post (vittorioso) Brexit sarebbe una sirena quasi irrinunciabile per tutti i paesi euroscettici oggi vittime dell’austerità. Ossi anche e soprattutto dell’Italia, paese ricco ma regolarmente bastonato da Bruxelles.
Va anzi ricordata la valenza strategica inglese in questa decisione europea: anche dimenticando per un attimo il supporto americano a qualsiasi venture in cui Londra decidesse di imbarcarsi a livello continentale, la Gran Bretagna avrebbe anche e soprattutto la possibilità di finanziare temporaneamente con il pound la creazione di nuove valute post-euro con finanziamenti ponte ed anche una “sterlinizzazione” temporanea delle economie in uscita dall’euro se necessario. Tanto per intenderci, ciò è quanto mancò alla Grecia che all’ultimo momento vide sfilarsi Mosca dal ruolo di prestatore di ultima istanza per i denari necessari a sostituire l’euro in assenza di una nuova dracma ancora non stampata (per evitare il Grxit la Germania convinse gli Usa, interessati d evitare il fragore dell’evento nel mondo finanziario, a farsi aiutare da Mosca ossia facendo in modo che fosse Putin a tradire il piccolo paese ellenico; come contropartita fu permesso a Berlino di firmare il contratto per il raddoppio del North Stream).
Resta chiaro che, un secondo dopo il “si” al Brexit, tutti i paesi interessati a veder estendere il surrogato del Ttip britannico a loro stessi – con accesso diretto ai paesi del Commonwealth – sarebbero più che tentati di fare lo stesso, a maggior ragione se l’atteggiamento dei governanti tedeschi in termini di austerità euroimposta non dovesse cambiare.
L’Italia deve attendere gli eventi e soprattutto l’invito ad aggregarsi a Londra, vedremo. Poi, a tal punto, verificheremo come saranno gli equilibri mondiali e ci si schiererà di conseguenza. Certo che il Brexit è comunque un’arma eccezionale a disposizione dei periferici ed a tutti quei paesi che hanno molto da perdere da siffatti e reiterati comportamenti austeri di Berlino in Ue. A maggior ragione se in presenza di una certa qual potenziale accessibilità da parte dei fuoriusciti di usufruire dei trattati commerciali britannici con i paesi del Sembra facile prevedere estrema pressione su Berlino nei prossimi mesi, dal Brexit all’elezione del nuovo presidente Usa: o la Germania molla con l’austerità e/o concede gli Eurobond o questa Europa finisce entro fine 2018 con enormi conseguenze, ancora tute da valutare.
Nelle more di quanto sopra per l’Italia ci sarà probabilmente spazio di manovra sufficiente a correggere l’insostenibile traiettoria economica attuale, magari a costo di qualche repentino cambio di alleanze in Europa.