Deutsche Bank sembrerebbe vittima della speculazione ma la realtà è diversa. Solo apparentemente la radice sta nella bassa progettazione. La mia esperienza mi convince di un rischio andato male. Nassim Taleb battezzò il concetto di black swan, ossia un evento tanto devastante quanto probabilisticamente improbabile. Per lavoro ho testato tali concetti, purtroppo la modellistica suggerita da Taleb sottostima terribilmente l’improbabilità, soprattutto se “sistemica”.
Se pensate che i tedeschi non corrano rischi sappiate che è falso, in realtà vogliono solo correre “rischi calcolati“. La storia ci insegna che – assieme all’innata protervia contro chi non è della loro stirpe – le scommesse tedesche andate male sono numerose. Si deve escludere l’estemporaneità (comportamento furfantesco stile Tanzi&Tonna di Parmalat): quanto accade a tali latitudini è sempre frutto di rischi ben calcolati rispetto ai benefici attesi. In una sola parola, sistematicità. Che fa paura, come sempre.
Infatti Deutsche Bank non è il solo caso, anzi, ne esiste una lista impressionante ed in tutti si trattava di aziende sistemiche. Non vi dice nulla Metallgesellschaft AG? Questa era un’azienda che di fatto fungeva da operatore globale sui mercati futures dei metalli necessari alle industrie di Berlino per produrre i beni poi esportati in tutto il mondo. Anche in tale caso si trattava di azienda sistemica quanto meno per la Germania essendo al centro di una ragnatela di subforniture alle manifatturiere locali. Di fatto fallì per eccesso di rischio/esposizione finanziaria e venne salvata con la solita regia di Berlino, come sempre accade per le aziende che contano.
E che dire di AEG, una delle conglomerate storiche di oltre Gottardo (con grande retaggio prima prussiano e poi nazista): anche lei finì in un vortice di acquisizioni e bassa redditività che alla fine la portarono all’insolvenza. Idem, salvata dal sistema tedesco (Daimler).
Siemens meriterebbe un capitolo a parte, mai fallita ma sempre sul filo del rasoio con le decine di multe per tangenti accumulate in tutti gli angoli del globo (anche in Italia per la vendita di turbine, peccato che da noi chi prese la stecca andò seppur per poco in galera, in Germania invece poco o nulla di penalmente rilevante, le tangenti in Germania fino alle olimpiadi greche o poco prima di fatto si mettevano a bilancio).
Citiamo anche i casi recenti, ad esempio il gruppo industriale VEM: durante la crisi subprime il decano Adolf Merkle si tolse la vita sotto il fardello dei debiti, troppo rischio finanziario andato male (encore, il gruppo fu salvato dal sistema tedesco). E che dire di Porsche, annichilita nel 2009 per lo stesso motivo passando da acquirente in pectore di VW a preda per di fatto insolvenza finanziaria in un tourbillon di derivati, con enormi lotte intestine tra le famiglie che davvero contano. Oppure Opel, di fatto fallita nel subprime e che Marchionne nemmeno cercò di comprare solo perché i tedeschi non glielo avrebbero mai permesso. Tutto questo ci fa concludere che le grandi aziende tedesche da una parte prendono rischi enormi che spesso le fan saltare. Dall’altra c’è sempre Berlino a coordinarne il salvataggio nelle more di quel modello renano di conglomerate di mutuo soccorso mai morto ed anzi oggi vivo più che mai, in barba ai principi solidali europei che invece si stanno tramutando in strumento coercitivo dell’asse franco-tedesco che sta al comando dell’Unione Europea a danno dei paesi periferici, che ne sono la vittima predestinata. Deutsche Bank non farà eccezione.