A parlare di banlieue in quello che è l’interno del boulevard periphérique, diversamente chiamato Parigi, si finisce quasi inevitabilmente per precipitare in una spirale di stereotipi e “già detto”, all’insegna di criminalità, povertà e allarmismo. Ivry-sur-Seine, a sud-est della capitale francese, sembra essere stata messa lì per confutarli tutti. O quasi.
La prima cosa che colpisce, scendendo dalla linea 7 della metro o uscendo dalla stazione della Rer, la linea ferroviaria regionale che collega tutta l’Île-de-France con il centro di Parigi, è il silenzio. Il caos del centro di Parigi è lontano (seppur il 13° arrondissement è a poche centinaia di metri di distanza in linea d’aria), le auto in circolazione poche, all’interno del comune ci si muove prevalentemente a piedi, o in bicicletta, mentre per andare verso la capitale i mezzi pubblici non mancano. Appare subito evidente che non è di un centro abitato particolarmente abbiente che stiamo parlando: le abitazioni sono spesso popolari, frugali, a volte ricavate da vecchi uffici o fabbriche manifatturiere, sulle cui facciate si possono ancora leggere le insegne in acciaio risalenti all’inizio del secolo scorso. Un lato della città che rivela la sua passata anima industriale, attualmente in corso di trasformazione verso un modello urbano più orientato verso le esigenze abitative di una metropoli, quella parigina, assolutamente non in grado di soddisfarle. Colpa dei prezzi delle abitazioni nella capitale, leit motiv di molte banlieues parigine, spesso troppo elevati per le tasche di moltissimi lavoratori, che rendono la migrazione verso uno dei comuni adiacenti l’unica soluzione possibile.
Una migrazione che trasforma di fatto il comune di Ivry in quello potrebbe essere definito una “città-dormitorio”, ma che in qualche modo prende le distanze da stereotipi di degrado, mancata integrazione e diseguaglianza sociale. La sua caratterizzazione nell’immaginario comune parigino è infatti un’altra: “Oui, c’est la ville communiste!” (“Sì, è la città comunista”, ndr) è la risposta più comune che si riceve a chiedere di Ivry per le strade della capitale. Questo comune riflette infatti ancora la concezione di “banlieue rouge” (banlieue rossa, ndr), operaia e tendenzialmente schierata politicamente a sinistra, molto radicata negli abitanti più storici dei sobborghi parigini. Qui è ancora così: la città è infatti amministrata dal Partito Comunista Francese, attraverso il sindaco Philippe Bouyssou, seguendo un trend molto stabile che negli anni ha spesso fatto eleggere primo cittadino di Ivry un rappresentante del Pcf. E lo stesso vale per la tendenza nei riguardi delle elezioni presidenziali nazionali del 23 aprile, per strada trionfano gli slogan della “France Insoumise”, il movimento guidato da Jean-Luc Mélenchon, il candidato di estrema sinistra che al momento è ha superato Fillon ed è terzo nei sondaggi con il suo odio per le élites e il suo populismo anti europeo di sinistra.
Eterogeneità
Questa tendenza rispecchia una chiara composizione sociale della banlieue, e si può notare a sua volta nelle politiche messe in atto sul territorio cittadino da parte dell’amministrazione. L’eterogeneità è l’unica chiave di lettura possibile per descrivere la città di Ivry: è difficile incrociare per strada due sguardi che provengono dalla stessa parte del mondo, mentre la lingua parlata più comune è sì il francese, ma declinato secondo una miriade di accenti e inflessioni che rendono veramente difficile definire una comune parlata caratteristica della zona. E l’amministrazione pubblica si è mossa in tal senso con provvedimenti atti ad incentivare gli acquisti delle abitazioni attraverso il calmieraggio dei prezzi. Una misura che ha delle conseguenze inevitabili sul costo degli affitti: Ivry è una delle banlieue più convenienti dove vivere a ridosso di Parigi.
Quello che rende omogenea la città è però la sua composizione economica: le differenze sociali a Ivry sono pressoché nulle. La classe dominante è quella media, post-operaia, composta da lavoratori del terziario di ogni etnia o giovani studenti che ogni mattina affollano i mezzi pubblici verso la capitale. La stessa storia operaia della città fa sì che il tessuto urbano sia popolato da abitazioni storiche, spesso riadattate, con pochi palazzi che svettano in maniera evidente sul resto delle costruzioni, spesso ricavate da precedenti stabilimenti industriali di piccole dimensioni, che di solito non superano i due-tre piani di altezza. Una storia che però non impedisce un profondo rinnovamento urbano: “Il 70% della città è sostanzialmente un cantiere” ci viene detto. E non si fatica a trovare riscontri di questa affermazione: la città è un grande cantiere a cielo aperto, dove la riqualificazione urbanistica passa anche per la ricostruzione di interi quartieri ex novo, con palazzi dallo stile architettonico innovativo e larghe piazze.
Nonostante la sua composizione variegata e la storica presenza di immigrati provenienti dai quattro angoli del mondo francofono, Ivry è tutto sommato un luogo tranquillo. La criminalità non è rilevante e il degrado sembra scomparire di fronte all’elegante omogeneità urbana che negli anni l’amministrazione cittadina è stata in grado di creare. Un luogo in cui, in altre parole, l’immigrazione non è mai stata un problema, ma è anzi stata vista come una risorsa per rivitalizzare l’economia di una città che si sarebbe altrimenti spenta in seguito alla fine della sua funzione industriale.
L’anima di Ivry tuttavia non si esaurisce al suo volto post-operaio e alla sua composizione popolare. La città sta infatti in questi anni dimostrando di essere un ottimo terreno di coltura per una miriade di atelier artistici, che sorgono nei luoghi più disparati: da vecchi casolari abbandonati a ex fabbriche occupate, passando per garage e stanzini dietro improbabili bar.
“Ivry è sicuramente un luogo con un certo fermento artistico, per così dire” conferma Antoine Pecclet, collaboratore dell’atelier Le Lavoir. Un luogo strano, ricavato da un vecchio stabilimento abbandonato, dove decine di artisti lavorano in un unico stanzone di legno. “L’idea è quella di creare uno spazio dove si possa lavorare e vivere insieme, un luogo di lavoro da cui trarre ispirazione e in cui condividere le proprie idee”, spiega. Di fatto Le Lavoir, che ospita circa 35 artisti al momento, funziona come uno spazio di coworking autogestito: se accettato da chi gestisce l’atelier, l’artista paga un contributo per poter usufruire di spazio e strumenti dell’atelier. Strategia che sembra funzionare: “Non abbiamo un posto libero, al momento!” dice Antoine, tra il serio e il divertito. Un’affermazione che si spera non varrà mai per Ivry, sempre più centro delle speranze abitative della Ville Lumiére.
Da Parigi
Stefano Fasano @SteFasano
Veronica Di Benedetto Montaccini @veronicadibm