L’attacco condotto dai ribelli Houthi contro i siti petroliferi di Buqyak e Khurais, nei pressi di Riad, rischia di innescare una bomba ad orologeria contro il regime iraniano, sostenitore dei ribelli yemeniti e loro principale fornitore di armamenti. L’amministrazione statunitense, infatti, starebbe esaminando la possibilità di colpire duramente alcuni impianti di raffineria dell’oro nero attivi in territorio iraniano come ritorsione per l’appoggio di Teheran agli Houthi.
Il bombardamento di ieri contro i siti sauditi, condotto con l’utilizzo di ben 10 droni, ha infatti condotto alla chiusura “cautelare” di entrambi gli impianti con pesanti ripercussioni sulla produzione del greggio e sulla conseguente fornitura, in primis, agli Usa. Il blocco della produzione negli impianti colpiti dagli Houthi, i principali in territorio saudita, ha condotto alla perdita di circa 5 milioni di barili al giorno, circa il 5% della produzione mondiale a fronte di una produzione complessiva saudita di 9,8 milioni di barili al giorno. A fronte della situazione il prezzo del petrolio potrebbe raggiungere i 100 dollari al barile pur nella considerazione che l’Aramco, compagnia nazionale saudita proprietaria degli impianti, ha tenuto a rassicurare l’opinione pubblica in merito alla rapida riattivazione dei due siti.
Gli Usa hanno chiesto all’Onu di esprimere una condanna unanime agli attacchi iraniani e, come prima misura, l’amministrazione americana ha autorizzato, nel caso di un ritardo nella riattivazione degli impianti in Arabia saudita, l’eventuale utilizzo delle risorse strategiche di combustibile sul territorio nazionale.
In risposta alle poco velate minacce americane, il capo della Forza aerospaziale iraniana del Corpo di guardie rivoluzionarie dell’Iran, Amir Ali Hajizadeh, ha fatto sapere che le basi e le portaerei americane di stanza in Iraq e nel mar Rosso entrerebbero nel raggio d’azione dei missili di Teheran, ribadendo che il Paese è da sempre pronto alla guerra.