C’è un drammatico elemento che emerge ogni qualvolta le cronache raccontano un caso di abuso o maltrattamento di minori: l’omertà e la paura di denunciare. Una nube grigia in cui troppo spesso i più piccoli finiscono per divenire ombre oggetto di violenze in famiglia, in centri di aggregazione e perfino nelle scuole.
Una realtà che diventa ancora più grigia se si prova ad indagare la rete alla ricerca di dati e numeri in grado di fotografare il mondo delle violenze sui minori nelle scuole italiane. Nessun dossier istituzionale dedicato, soltanto una selva di siti di mamme e genitori che, in rigoroso regime di anonimato, si rivolgono a sedicenti esperti per chiedere consigli utili su come comportarsi.
E’ sufficiente osservare che in questi giorni la legge ‘Buona Scuola’ ha effettuato un passo avanti molto importante con il via libera del Consiglio dei Ministri a 8 delle 9 deleghe previste. Le novità per il comparto 0/6 anni sono rilevanti: gli asili nido diventano parte del percorso educativo, le insegnanti dovranno essere laureate (laurea triennale, provvedimento non retroattivo) e saranno coordinati a livello statale anche se gestiti dagli Enti locali come ora. Novità anche sul fronte della formazione, ma regna il silenzio sui temi relativi a controlli e test psicoattitudinali dei docenti per garantire la sicurezza dei bambini e la serenità delle rispettive famiglie.
I DATI. Sugli abusi commessi nelle scuole italiane la letteratura è pressoché inesistente. A parlarne sono più che altro le pagine dei quotidiani, spesso locali, perché forse il tema non è considerato degno di attenzione a livello nazionale. Ma basta sfogliare i giornali per accorgersi che, negli ultimi dieci anni, le denunce sono in aumento e in media si registra un caso al mese di presunti maltrattamenti negli asili nido e nelle scuole materne italiane. Eppure nelle procure d’Italia ci sono centinaia di fascicoli che segnalano episodi gravi nelle scuole.
Numeri che, pur meritevoli di attenzioni, sono risibili a fronte di circa 9.350 asili nido e oltre 45mila educatrici presenti sul territorio nazionale (Cittadinanzattiva – Osservatorio prezzi&tariffe su dati “Istat” e dati “Monitoraggio Regioni e Province Autonome, settembre 2015).
In ordine cronologico il 2016 si è chiuso con un caso che ha fatto molto discutere, quello di Milena Ceres, coordinatrice dell’asilo Baby World Bicocca di Milano, finita al centro di un’inchiesta su presunti maltrattamenti su quattordici bambini: insulti, strattonamenti, pugni, morsi e intercettazioni da far venire i brividi (“Quando poi ti rendi conto che un bambino piange senza motivo, prendi la seggiola e lo allontani…Devono piangere, devono capirlo”).
La donna ha scelto di patteggiare la sua condanna. Così, come deciso dal giudice per l’udienza preliminare di Milano, Valerio Natale, dovrà scontare 2 anni e 9 mesi di reclusione.
Le urla dei familiari dei bambini alla lettura del dispositivo del Gup hanno lasciato un’eco indelebile. Dargli torto è difficile, specie se si cerca di fare chiarezza fra la giungla di norme, direttive, pareri di sociologi e pedagogisti che cercano di trovare una risposta al più semplice dei quesiti: come è possibile che tutto ciò avvenga nelle nostro scuole? E, soprattutto, cosa dicono il ministero dell’Istruzione, le associazioni di docenti, i sindacati di categoria quando maestre o docenti si rendono protagonisti di atti così gravi che ledono l’immagine di un’intera categoria? La risposta qui è meno grigia, ma ugualmente drammatica: silenzio, “no comment”, e rarissimi casi in cui si ha il coraggio, oseremmo dire senso civico, di costituirsi parte civile nei processi. Omertà è il termine esatto per descrivere questo mondo oscuro, marginale stando ai numeri, ma tristemente in espansione, dei maltrattamenti nelle scuole.
Il caso di Milano è solo l’ultimo in ordine di tempo, ma il vero dibattito sui maltrattamenti e gli abusi nelle scuole tocca contemporaneamente tre argomenti: i sistemi di controllo e di sicurezza nei nidi, i test psico-attitudinali a cui dovrebbe sottoporsi il personale scolastico e, sul piano giuridico, il discutibile ricorso al patteggiamento e il limite spesso impercettibile tra il reato di maltrattamento e l’abuso dei mezzi di correzione.
Tre nodi strategici, i primi due più volte respinti all’unanimità dal corpo insegnante in nome dell’intoccabile autonomia e del principio “nessun controllo per i controllori”. Non a caso dal 2006 esiste una Circolare Ministeriale (http://1.flcgil.stgy.it/files/pdf/20061219/cm-72-del-19-dicembre-2006-procedimenti-penali-e-sanzioni-disciplinari1-2988862.pdf) che mette il dirigente scolastico nelle condizioni di sospendere il docente indagato per aver commesso atti contro i minori ma, a quanto risulta, l’applicazione di questa prerogativa da parte dei dirigenti scolastici è stata sempre “gentilmente” demandata in attesa del lavoro delle autorità giudiziarie.
TEST DI CONTROLLO PER I DOCENTI. Sul tema dei controlli psicoattitudinali l’Osservatorio per i Diritti dei Minori, presieduto dal sociologo Antonio Marziale, unitamente a Cittadinanzattiva, ha più volte richiamato l’attenzione sulla necessità di introdurre meccanismi di controllo per chi lavora nelle scuole.
Alcune sigle sindacali come la Cisal hanno recentemente proposto la creazione di un nucleo di pedagogisti tra clinici e giuridici che possano fungere da team di valutazione dello stesso corpo docente e ausiliario, mediante un protocollo di osservazione e di interventi mirati, atti a rimuovere nel breve e lungo termine eventuali trasgressioni educativo-comportamentali, salvaguardando il clima organizzativo nel contesto di lavoro, permettendo di percepire una maggiore incidenza dello stress, della conflittualità intrapersonale e restituendo fiducia tra le componenti del gruppo lavoro.
TELECAMERE NEI NIDI E TEST PSICOATTITUDINALI. Diverso il discorso relativo all’installazione di telecamere a circuito chiuso negli asili nido, un’iniziativa lanciata e rilanciata dalla politica ogni volta che un caso di cronaca sale alla ribalta. L’ultima di queste proposte il 19 ottobre 2016 è stata approvata alla Camera. Si tratta di una proposta di legge sulla videosorveglianza obbligatoria negli asili nido, nelle scuole dell’infanzia e nelle strutture socio-assistenziali per anziani, disabili e minori in condizioni di disagio.
Un’iniziativa subito bocciata dai sindacati della scuola e dal Garante per la Privacy, che, intervenuto con un’audizione alla camera il 27 luglio 2016, ha sottolineato come “la necessità di protezione nei confronti di soggetti in condizioni di particolare vulnerabilità debba essere bilanciata con la libertà dei lavoratori, considerata un elemento di qualità del lavoro, soprattutto nei contesti educativi in cui sono determinanti la spontaneità e l’immediatezza della relazione educativa”. Per il corpo docente l’installazione di videocamere nelle scuole “rischierebbe di falsare e rendere artificioso il naturale rapporto tra educatori e bambini”. Anche qui vale quindi il principio “nessun controllo per i controllori”.
REATO DI MALTRATTAMENTO E ABUSO MEZZI DI CORREZIONE. A complicare la già drammatica situazione degli episodi di violenza nelle scuole c’è il codice penale che “offre” la possibilità di scelta tra il reato di maltrattamento di minori e l’abuso di mezzi di correzione.
In ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità. Il codice penale con l’articolo 571 inserisce, tra le fattispecie penalmente rilevanti, l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina.
Si tratta di un reato che punisce chiunque abusi di tali mezzi in danno di una persona che sia stata sottoposta alla sua autorità o che gli sia stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte. In particolare, coloro che commettono tale reato sono puniti con la reclusione fino a sei mesi, se, dal loro comportamento, alla vittima deriva il pericolo di una malattia, sia nel corpo che psichica.
Il reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina rischia spesso di sovrapporsi a quello di maltrattamenti in famiglia, disciplinato dal successivo articolo 572 del codice penale. A fare chiarezza è anche qui la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha tentato di fornire un adeguato orientamento. In particolare, due sentenze, la prima emessa dalla Cassazione penale Sezione VI sentenza del 14/06/2012 numero 34492 secondo cui “integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell’insegnante che umilii, svaluti, denigri o violenti psicologicamente un alunno causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità”. Nella fattispecie la Suprema Corte ha confermato la sentenza di condanna di un insegnante che aveva costretto un alunno a scrivere per 100 volte sul quaderno la frase “sono un deficiente”.
La seconda sentenza della Cassazione penale (la n. 53425 del 22/10/2014) definisce che “l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da “animus corrigendi”, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti”. Con questo dispositivo la Cassazione penale ha annullato la decisione del giudice di merito qualificando ai sensi dell’articolo 572 del codice penale (maltrattamenti), e non come abuso dei mezzi di correzione, la condotta di ripetuto ricorso alla violenza, sia psicologica che fisica, inflitta per finalità educative, da una maestra di scuola materna ai bambini a lei affidati.
IL RICORSO SEMPRE PIU’ FREQUENTE AL PATTEGGIAMENTO. Sul piano giuridico merita un approfondimento anche il ricorso sempre più diffuso al patteggiamento da parte delle educatrici e del personale scolastico protagonista di maltrattamenti di bambini. Un meccanismo, quello disciplinato dagli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale, in base al quale la condanna viene decisa attraverso un accordo che il Pubblico Ministero e l’imputato concludono circa la misura della pena: per l’imputato si tratta, evidentemente, della rinuncia alla garanzia di un processo “ordinario”; rinuncia in virtù della quale beneficia della riduzione della pena fino ad un terzo.
Il Pubblico Ministero, e dunque lo Stato, concede tale riduzione di pena allo scopo di favorire questa opzione e alleggerire la macchina della giustizia, che sarebbe oltremodo appesantita se tutti i processi provenienti dalle indagini preliminari avessero il dibattimento come unico sbocco possibile.
La titolare del nido Baby World Bicocca di Milano è solo l’ultima ad aver usufruito di questo sconto di pena da parte dei giudici. Appena un mese fa la stessa sorte era toccata a Lisa Marconcini (un anno e otto mesi) e a Piera Tinti (un anno e sei mesi), maestra e cuoca dell’asilo nido Albero Azzurro di Grosseto, in cui si erano verificati dei maltrattamenti a danno dei piccoli.
Il 27 dicembre 2016 è stata invece inoltrata richiesta di patteggiamento a un anno e dieci mesi con la sospensione condizionale “per il reato di maltrattamenti in danno di minori posti in essere all’interno della struttura” per la titolare del piccolo gruppo educativo “I cuccioli” di Imola, asilo nido privato oggetto di sequestro preventivo da ottobre. L’udienza, in cui un giudice dovrà pronunciarsi sull’accordo tra l’indagata e il Pm, è attesa per metà febbraio.
A far discutere, anche qui, è il fatto che per la giurisdizione italiana esistono reati che vengono esclusi, in base all’articolo 11 della legge 6 febbraio 2006 numero 38, dal rito speciale del patteggiamento. Una lunga sfilza di accuse in cui figurano reati pesantissimi come nei processi per i reati di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo, prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, pornografia virtuale.
Un elenco in cui tuttavia non figurano i maltrattamenti e gli abusi di minori. Un “escamotage” che consente di fatto alle maestre violente di cavarsela con uno sconto di pena che di norma evita anche il carcere a chi, avendo una fedina penale immacolata, commette reati contro i minori. E in più, in caso di condanna, l’articolo 28 del codice penale disciplina la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, temporanea o perpetua. Una pena accessoria e quindi nella disponibilità del giudice, che di rado viene comminata, con il risultato che molte di queste maestre possono tornare a lavoro o semplicemente essere trasferite, senza che la condanna venga inserita nel casellario giudiziario, in modo che nessuno possa sapere i misfatti commessi in passato.
Ma c’è un altro elemento causato dal patteggiamento che ha delle implicazioni da non sottovalutare: queste sentenze di patteggiamento, seppur equiparate a sentenze di condanna, salvo specifiche raccomandazioni del tribunale, non hanno efficacia di giudicato nei giudizi civili di risarcimento del danno derivante dal reato commesso. Come a dire, un altro schiaffo in faccia alle vittime indifese.