Un voto pro o contro l’Unione Europea e la sua stabilità. Sembra essere questa la lettura data da diversi media internazionali all’esito del referendum costituzionale in Italia. La cassa di risonanza offerta dai network di tutto il mondo ha battuto non tanto sul significato della riforma o sulla figura di Renzi e l’operato del suo governo, quanto piuttosto sugli scenari che si apriranno con la vittoria del no. Un segnale da leggere, secondo le prime pagine dei giornali stranieri o ascoltando gli addetti ai lavori che hanno seguito l’evolversi del voto referendario, come un atto di protesta contro l’Unione Europea. Un voto anti-establishment che aprirebbe le porte all’avanzata dei cosiddetti movimenti populisti o anti-europeisti: in primis il M5S e il fronte di Salvini.
Come raccontato da Ofcs Report, la stampa estera ha mostrato grande interesse per questo referendum, considerato di una portata epocale proprio per il periodo storico in cui viviamo. Dopo la Brexit e la successiva vittoria di Trump negli Usa, i media di tutto il mondo si interrogano se anche in Italia si alzerà un vento di insofferenza, di rabbia e di protesta verso le politiche di austerità dell’Unione. A maggior ragione, date le annunciate dimissioni di Renzi, si apre secondo la corrispondente di Russia Today, Paula Slier, “una fase estremamente interessante per capire quale sarà la tenuta non tanto dell’Italia quanto dell’intera Europa”.
La contraddizione è che nonostante Matteo Renzi sia stato percepito fuori dal Belpaese come critico verso le decisioni nei confronti di Bruxelles, soprattutto in materia di austerità e di immigrazione, incarnando spesso un ruolo di rottura degli schemi istituzionali, il segretario Pd abbia rappresentato una figura garante del processo di riforme necessario, agli occhi del mondo, per lo sviluppo del nostro paese. “È stato uno shock vederlo dare le dimissioni”, ci ha raccontato ancora incredulo il giornalista giapponese di Tv Tokio, Shinsaku Toyoshima, sguardo fisso davanti la conferenza stampa del premier.
L’Europa come una variabile tutta da decifrare. Negli ultimi mesi i vertici politici dei principali paesi del vecchio continente sono cambiati, per non dire saltati. La fotografia dei potenti della terra: Obama, Hollande, Renzi, Cameron sembra già uno sbiadito ricordo. Al momento l’unica a restare in campo è la cancelliera tedesca, Angela Merkel, che ha annunciato negli scorsi giorni di candidarsi per il quarto mandato consecutivo. Il presidente francese, Francois Hollande, ha fatto sapere invece che non concorrerà nemmeno per le primarie dei socialisti in Francia, creando un precedente nella storia della quinta repubblica: mai un capo dello Stato in carica si era ritirato dalla corsa per il secondo mandato.
Oltralpe si ragiona proprio sul fallimento del presidente socialista, ai minimi storici nel consenso personale, e su quello che sarà il probabile scontro per l’Eliseo tra la leader del Front National, Marine Le Pen, e il candidato dei repubblicani, Francois Fillon. La prima alla guida del movimento nazionalista ed euroscettico per eccellenza, seppur di recente abbia fatto una piccola marcia indietro sul referendum popolare anti-Ue, mentre il secondo rappresenta la Francia più interna, cattolica e conservatrice nonché fedele alla tradizione europeista di stampo gollista.
Prima le elezioni in Francia della prossima primavera e poi quelle in Germania in autunno saranno decisive per capire quale direzione verrà impressa dalle principali democrazie europee in funzione anti-europeista o meno. Ci apprestiamo, dunque, ad entrare in un 2017 caldo e forse decisivo per le sorti dell’intera Unione. Allo scacchiere frammentato bisogna aggiungere l’Italia, che una volta superata questa fase di incertezza, dovrà decidere nelle prossime settimane quale vestito indossare davanti ai rappresentanti delle istituzioni europee.