Gli ultimi fatti di Milano e la richiesta del sindaco Sala hanno riacceso il dibattito sull’utilità o meno dell’impiego dei militari. Molti opinionisti sostengono che possono influire in misura modesta sulla sicurezza globale, se non altro per il rapporto di forza in campo (7.000 militari contro gli oltre 250 mila tra carabinieri, poliziotti e finanzieri, cui vanno sommate le polizie locali) e perché è una sicurezza costruita al buio, senza fare luce sui problemi e sulle possibili soluzioni.
Forse il contributo dei militari non deve essere misurato in termini quantitativi, ma sotto il profilo qualitativo: in sostanza i militari possono risultare efficaci in situazioni mirate di degrado urbano. Piuttosto, ciò che colpisce è che non ci sia un piano di utilizzo dei militari per fronteggiare l’emergenza sicurezza urbana. Basta citare Milano: dopo gli episodi di violenza a piazzale Loreto, sull’onda dell’impatto emozionale dell’opinione pubblica, è stato chiesto l’intervento dell’Esercito. In pratica, l’utilizzo dei militari è ancora una questione emergenziale e non pianificata.
Le esigenze di sicurezza pubblica non vanno affrontate con provvedimenti che seguono fatti di cronaca, ma presuppongono una ricerca di soluzioni in via preventiva. Ed in tale fase si dovrebbe collocare la valutazione di un impiego dell’Esercito.
E’ probabile che a Milano assisteremo ad un’ “altalena” già vista in altre città: episodi di violenza, intervento dell’Esercito per sei-nove mesi, ripristino di una normale situazione di sicurezza urbana, revoca dei militari, ricomparsa del degrado quotidiano a distanza di qualche mese.
Ma un impiego pianificato dei militari, con dei caratteri stabili e non temporanei rappresenta un problema giuridico? Nel senso che i militari potrebbero divenire una Forza di polizia “occulta”? Del resto, molti rilevano che oggi si stanno dissolvendo i confini tra sicurezza interna ed esterna con la scomparsa delle distinzioni dei compiti di polizia e militari: una separazione che aveva sempre caratterizzato le democrazie europee.
Analizzando i ruoli, in realtà i confini sono definiti. Intanto le pattuglie sono miste con la presenza di un appartenente alle forze di polizia. Poi, i decreti governativi non prevedono l’attribuzione ai militari delle speciali qualifiche in capo agli operatori di polizia (agente di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria).
Tornando ai fatti di Milano, spetta alle forze di polizia sgomberare edifici abusivamente occupati, fare irruzioni nei palazzi “inviolabili” o sgominare le gang latine ed i loro traffici, ma una presenza di pattuglie miste poliziotti-militari può ridurre gli episodi di violenza sfociati in strada.
In estrema sintesi, nell’ultimo decennio è emersa una nuova concezione di sicurezza, che coinvolge tutti i cittadini e la maggior parte degli spazi aperti. In passato le forze di polizia dovevano contrastare fenomeni di delinquenza comune e organizzata, assicurare la vigilanza a obiettivi sensibili per prevenire rapine, furti, attentati. Negli ultimi anni, oltre alle dinamiche del terrorismo internazionale, si sono aggiunte le problematiche di degrado urbano, dove fenomeni disagio sociale ed episodi delinquenziali si mischiano senza poter individuare una chiara linea di demarcazione (si pensi ad un senzatetto con disturbi psichici che aggredisce un passante). Oggi è richiesta la presenza della forza pubblica ovunque, specie in orari serali e notturni, dai parchi, alle stazioni ferroviarie, alle adiacenze di edifici abbandonati, sino ai centri storici con vie anguste e scarsa illuminazione.
In pratica è impossibile assecondare una richiesta simile. Ed ecco allora che la sola presenza della pattuglia mista è un efficace deterrente che scoraggia male intenzionati e previene episodi di degrado sociale, atti vandalici o aggressioni ai passanti. Certamente non è una medicina miracolosa: continueranno ad esserci senzatetto, disperati o problemi legati all’igiene pubblica, ma quanto meno i fenomeni possono essere segnalati alle altre istituzioni preposte (Comuni, aziende di gestione dei servizi ambientali, ecc.).
Si potrebbe obiettare che la funzione dei militari è assolta dagli impianti di videosorveglianza. Intanto, l’effetto deterrente non è lo stesso: si tratta di una misura di difesa passiva che in molti casi non riesce a prevenire episodi delinquenziali e/o di degrado allo stesso modo della pattuglia della forza pubblica. Inoltre, in molti quartieri gli impianti di videosorveglianza sono distrutti o resi inservibili, rimanendo abbandonati alla loro sorte.
A prescindere poi dai costi e dal recupero di migliaia di agenti delle forze dell’ordine per altri servizi, in realtà la spinta propositiva è quella di ricreare un rapporto tra operatori della sicurezza e territorio. I militari dovrebbero essere impiegati analogamente ai carabinieri/poliziotti di quartiere creando un rapporto con il luogo, che consiste nella conoscenza delle persone e dei problemi delle varie aree.
Prendiamo via Padova a Milano, nella zona del cosiddetto “inferno”, frequentata da persone di etnie multiple, dominata da fiumi di alcool ed episodi di accoltellamenti fra bande rivali. Una presenza di pattuglie quasi fisse, in una sorta di presidio permanente, davvero non sarebbe efficace?
Ma i militari non devono diventare un’arma psicologica o uno strumento politico per cercare consenso nella popolazione locale, agendo solo sulla sicurezza percepita anziché su quella reale. Non servono slogan del tipo “Operazione strade sicure”, oppure conferenze stampa nelle quali si esalta la percentuale di riduzione dei reati, quanto un intervento quotidiano e silenzioso che, con il tempo, può riportare una situazione di normalità nelle aree oggi preda del degrado.