Può accadere che un militare stimato e apprezzato, marito e padre esemplare di due bimbi, cittadino italiano dalla fedina penale impeccabile si ritrovi, alle 4 del mattino, di un giorno qualunque ad essere svegliato, prelevato e portato in commissariato perché, all’improvviso, per la giustizia italiana è diventato solo un pericoloso trafficante e ricettatore di cocaina e marijuana? La risposta, purtroppo, è sì. E a conferma di questo ci sono 21 giorni di carcere militare, quattro di isolamento e 5 mesi di arresti domiciliari.
Francesco Raiola difficilmente scorderà quella maledetta mattina del 21 settembre del 2011, giorno in cui ha avuto inizio la sua terribile odissea giudiziaria. Lui, allora trentenne e originario di Scafati, cittadina in provincia di Salerno, si è visto travolgere da quello che poi si è rivelato un grave errore giudiziario. Era di servizio nella caserma militare di Barletta quando, di fretta e con poche spiegazioni, è stato portavo via dalle forze dell’ordine per gli accertamenti del caso. Lui che aveva addirittura servito lo Stato partecipando a tre missioni internazionali (due in Kossovo ed una in Afghanistan), ha dovuto subire non solo lo spavento, ma anche l’umiliazione di essere arrestato davanti ai suoi colleghi con accuse pesantissime: traffico e ricettazione di sostanze stupefacenti.
L’attività investigativa coordinata allora dai magistrati della Procura della Repubblica di Torre Annunziata, e diretti dal procuratore Diego Marmo (lo stesso che accusò Enzo Tortora) si era sviluppata dal dicembre 2009 al dicembre 2010. Dopodichè, nell’ambito dell’operazione denominata “Alieno”, si è arrivati all’arresto immediato di 73 persone, tra cui Francesco che, sentendo le accuse a suo carico, era sempre più convinto di essere di fronte ad uno sbaglio, ad un caso di omonimia.
Gli inquirenti gli misero di fronte 800 pagine di tabulati dove, secondo loro e in base alle intercettazioni telefoniche trascritte, non c’erano dubbi riguardo la sua colpevolezza, in particolare sulla gestione di una partita di 2 kg di droga.
Da lì l’inizio del calvario, durante il quale Raiola ha continuato a gridare e professare la sua innocenza ed estraneità ai fatti. Come lui stesso racconta, in quei 4 giorni di isolamento cercava disperatamente di trovare corrispondenza fra le parole scritte nelle intercettazioni e quelle da lui tempo addietro pronunciate. Fra tutte cercava di ricordare cosa avesse detto che poteva riferirsi a quei due chili che non erano certo di droga, ma mozzarelle.
Intanto i provvedimenti a suo carico erano cominciati e con loro la discesa all’inferno. Francesco si sentiva gabbato non solo dalla giustizia, ma anche dalle forze militari da cui non ha ricevuto nessun sostegno a conferma della sua innocenza. Innocenza accertata e arrivata solo cinque anni fa, quando il gip del Tribunale di Nocera Inferiore non solo l’ha definitivamente prosciolto dalle accuse, ma ha anche richiesto un doppio indennizzo per l’errore giudiziario commesso a suo carico: 41.000 euro .
Una cifra che non risarcirà assolutamente Raiola dal danno morale, fisico e professionale subito. Le accuse pesanti infondate di traffico di droga infatti hanno stravolto completamente la vita personale e lavorativa di Francesco che, travolto da questa vicenda giudiziaria, ha perso durante quel periodo la possibilità di entrare in servizio permanente militare. Lui che aveva vinto il concorso in graduatoria e a cui mancava solo l’uscita del decreto per apporre la sua firma.
Inoltre, per lo stress subito, è stato anche colpito da un melanoma maligno. Un uomo che ha visto ogni sua certezza vacillare e che nonostante chiedesse a gran voce di fare ulteriori e approfonditi accertamenti su quelle intercettazioni non veniva ascoltato e tantomeno creduto.
E questa vicenda come tante altre accadute, ma purtroppo non sempre rivelate non possono che ricondurci a quello che fu ed è a tutt’oggi il più grave errore giudiziario della storia del nostro Paese. Il “caso Enzo Tortora” che divise l’Italia fra innocentisti e colpevolisti. Il grande giornalista, conduttore televisivo e politico italiano, esattamente come Francesco, ha fino alla fine dei suoi giorni gridato e professato la sua innocenza, e soprattutto impotenza, di fronte all’ingiustizia e indifferenza di tanti falsi portatori di legalità.