In Italia sono 7.668 i militari malati a causa dell’uranio impoverito. In 340 sono morti. Un mare magnum di vittime e familiari che si barcamenano fra cavilli giudiziari, sanitari e burocratici, tanto difficili da affrontare, quanto dispendiosi in termini economici. E, nel caso delle vittime dell’uranio impoverito, in termini giudiziari le cose si complicano ancora di più quando come controparte si ritrova addirittura il ministero della Difesa. Per approfondire, ma anche per dare maggiori informazioni a chi purtroppo si trova a far parte di questa categoria, Ofcs.report ha approfondito il tema con l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, che da tempo si occupa di questo spinoso argomento.
L’avventura giuridica dell’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, infatti, a difesa dei militari italiani vittime dell’uranio impoverito e dei familiari che li rappresentano, è iniziata nel 1997. Dal quel momento, come altri suoi colleghi, si è ritrovato a occuparsi di una quantità enorme di casi di diritto militare. Un campo in cui la giurisprudenza, fino a quel momento, risultava di fatto scarna di esempi o metodologie giuridiche da applicare. Nonostante questo è riuscito, grazie uno studio attento e approfondito, ad aprire nuovi e interessanti scenari giuridici in materia amministrativa-militare e pensionistica. Come quando i giudici emisero la sentenza relativa alla morte di Andrea Antonaci. A uccidere il militare era stato l’uranio impoverito, motivo per il quale il ministero della Difesa fu condannato a pagare quasi 1 milione di euro.
Dietro sentenze del genere, ci sono anni di battaglie giuridiche da superare. E, di volta in volta, gli scenari prospettati agli assistiti mutano a seconda del caso in essere. Come spiegato dall’avvocato Tartaglia “si tratta di questioni molto complicate. Inizialmente lo erano per l’assenza assoluta di un inquadramento giuridico dell’argomento, oggi lo sono perché sia l’Amministrazione che i consulenti nominati dai vari tribunali tendono a negare qualsiasi nesso di causalità, ritenendo che la causa dei tumori sia sconosciuta. Atteggiamenti questi che necessitano di essere riavvicinati a un corretto inquadramento giuridico”.
E, come altre professioni, anche il mestiere dell’ avvocato ha una seria deontologia da rispettare. Sopratutto per quanto riguarda le vittime del dovere. In alcuni casi, infatti è meglio avvisare l’assistito da subito, se è il caso o meno di proseguire con le procedure giuridiche: “La professione dell’avvocato è molto delicata e complessa. Bisogna cercare sempre di guardare al problema di chi sia ha di fronte e capire se si è in grado di risolverlo. Capita poi di tutto, tanto vittime sfinite da atteggiamenti ostruzionistici, tanto persone scorrette che cercano di approfittare. Si tratta però sempre di persone ammalate che devono essere trattate con umanità e comprensione”, afferma l’avvocato.
Purtroppo, infatti, molte vittime dell’uranio impoverito, ma anche dell’amianto, hanno denunciato come molti colleghi, lontani da qualsiasi pensiero deontologico, anzichè aiutarli cercavano di lucrare sulla loro situazione. E, come ci riferisce Targaglia, non è cosa rara trovarsi di fronte a queste situazioni: “Mi raccontano tante cose, succede di tutto, ma io cerco di guardare ai problemi da affrontare. Spesso ci sono mille atteggiamenti scorretti dietro tragedie umane e familiari. E’ già difficile tutelare tante persone danneggiate, io vivo nel mio studio e sono concentrato nelle cose da fare, spesso non mi rendo neppure conto del tempo che passa. Certo, mi pesa molto sapere di atteggiamenti scorretti, così come a volte mi sento impotente nel vedere tanti giovani che si ammalano al rientro dalle missioni”.
E, come spiegato sempre da Tartaglia, i casi trattati da lui e i suoi colleghi, necessitano di una conoscenza molto approfondita di metodologie giuridiche in materia militare-amministrativa: “Sono questioni complesse che necessitano di grande dedizione, attenzione, studio incessante e conoscenza di processi diversi. Pensi che una stessa questione può richiedere per vari fini la necessità di adire giurisdizioni diverse. Ad esempio, per avversare il diniego di causa di servizio ai fini dell’equo indennizzo bisogna ricorrere al Tar (il tribunale amministrativo regionale, ndr) entro il termine perentorio di 60 giorni dal diniego. Se il diniego della causa di servizio ai fini della pensione privilegiata è avverso bisogna ricorrere alla Corte dei Conti territorialmente competente. Ai fini dell’azione risarcitoria bisogna ricorrere al Tar se il militare è in vita. Nel caso di militare deceduto i familiari, se chiedono i danni da perdita del congiunto, devono fare causa dinanzi il tribunale civile. E ancora, se chiedono i danni subiti dal militare, che si sono trasferiti a loro per effetto della successione ereditaria, devono ricorrere al Tar. Ognuno di questi processi ha regole diverse e richiede una conoscenza specifica, non solo della materia generica, ma anche e soprattutto del diritto militare che va ben inserito nelle regole comuni evidenziando e conoscendo le relative peculiarità. Insomma, non sono questioni affrontabili da chiunque. Inoltre, aggiungo per ulteriori informazioni, che per ottenere i benefici di vittima del dovere è necessario ricorrere al Tribunale del Lavoro provando il nesso di causalità” conclude Tartaglia.
Molte volte infatti, l’argomento a livello legale viene trattato in modo superficiale con risultati negativi, che rendono ancora più complesso far valere le ragioni degli assistiti, se non si ha una conoscenza specifica sopratutto del diritto militare, rischiando così di veder cadere nel vuoto qualsiasi azione legale.