Trump ha vinto il secondo dibattito tv, come la Clinton aveva vinto il primo, andando meglio delle aspettative. L’ex segretario di Stato era arrivata al primo dibattito in affanno per il malore mostrato in pubblico e il tentativo di nascondere la sua polmonite. Ci si aspettava che apparisse bollita e che potesse subire un colpo da ko dal suo avversario, invece non solo è rimasta in piedi ma si è mostrata combattiva e ha contrattaccato, mandando Trump in confusione nella seconda parte del confronto.
Trump è arrivato al secondo dibattito nella bufera per il video diffuso dal Washington Post e messo in discussione dal suo stesso partito. Poteva essere il definitivo ko, invece, dopo un difficile momento iniziale ha reagito, è apparso più concentrato e ha costretto la Clinton sulla difensiva aleggiando dietro di lei come un falco sulla preda, dimostrando di non essere ancora morto.
A differenza del primo dibattito, stavolta Trump ha affondato il colpo su tutti i punti deboli di Hillary (politici e non, dall’email-gate al caos in Medio Oriente) e fatto leva su tutte le issues a cui la base repubblicana è sensibile. Ha fatto ricorso all’arma finale contro il sistema Clinton, portando davanti alla stampa le donne che accusano Bill Clinton di molestie sessuali: un conto sono le parole, nei fatti il vero molestatore è Bill e Hillary una donna che intimidisce le vittime di stupro. Un momento bassissimo, certo, ma inevitabile dopo il colpo basso subito da The Donald. Da almeno due decenni l’elettorato conservatore sognava un candidato che tenesse testa senza complessi all’odiato clan Clinton. A questo punto Hillary ha preferito cambiare argomento, il tema è da sempre troppo scottante anche per i Clinton ed era più interessata a non rischiare di buttare al vento il suo vantaggio piuttosto che assestare il colpo del ko. Trump ha commesso solo due errori: quando ha ammesso di non aver concordato col suo vice una posizione sulla crisi siriana e alla fine, quando riconoscendo alla Clinton di essere una “combattente” ha contraddetto i suoi stessi attacchi del dibattito precedente, quando l’aveva definita “unfit” perché debole e malata.
Meglio Trump anche per il focus group del sondaggista indipendente Frank Luntz: le preferenze per Hillary sono passate da 8 a 4 dopo il dibattito, quelle per Trump da 9 a 18. Hillary ha fornito le prevedibili risposte del politico navigato, Trump è apparso meno artefatto e più spontaneo. Per i commentatori Trump che minaccia Hillary di nominare un procuratore speciale per incriminarla è stato uno dei momenti più bassi del dibattito, mentre per i telespettatori uno dei migliori, anche perché il 56% degli americani non ha condiviso la scelta dell’Fbi di non incriminarla per l’email-gate.
Ma si è trattato, appunto, di una vittoria rispetto alle aspettative. Invece di gettare la spugna Trump si è rimesso in piedi, consolidando il suo zoccolo duro di elettori convinti e allontanando la tentazione della leadership del suo partito di ritirargli ufficialmente l’appoggio. Insomma, una vittoria perché resta in corsa, ma è molto improbabile che sia riuscito a ridurre il distacco dall’avversaria e conquistare voti tra gli indecisi. Date le condizioni di partenza quasi disperate, non poteva fare di più. É ancora indietro nei sondaggi, c’è sempre meno margine per una rimonta, ma gli stessi sondaggisti dubitano di essere davvero riusciti a intercettare il suo elettorato potenziale. C’è da chiedersi anche quanto colpi come quello dei giorni scorsi possano azzopparlo tra gli indecisi. Da una parte, le volgarità del video diffuso non possono essere liquidate come parole che non lo rappresentano; dall’altra, proprio perché coerenti con il suo personaggio, gli elettori potrebbero esserne non più di tanto scandalizzati.
L’unico uscito sconfitto dal dibattito è il Partito repubblicano. Che prima non è riuscito a costruire una valida alternativa interna a Trump, poi l’ha incoronato senza convinzione. E ora, a un mese dal voto, dopo un colpo basso confezionato dai suoi avversari, è ad un passo dallo scaricarlo (anche se dopo la vitalità mostrata da Trump in tv è arrivato il tweet di congratulazioni del suo vice, Mike Pence). Molti big del partito l’hanno comunque scomunicato e altri esponenti sarebbero pronti ad abbandonarlo, pensando alle loro poltrone di deputato o di senatore. Lo speaker alla Camera Paul Ryan ha confidato ai deputati che non difenderà più Trump ma si concentrerà sulla difesa dei seggi al Congresso. Ma è la migliore strategia per difenderli? Per il 74% degli elettori repubblicani il partito dovrebbe continuare a sostenere Trump nonostante le volgarità del video, mentre solo per il 13% non dovrebbe. Una sconfitta di Trump può quindi rivelarsi costosissima per il partito. Se perde, il Gop si libera di lui ma rischia di perdere anche il 74 % della base. Persa la Casa Bianca per 12 anni, e probabilmente anche le maggioranze al Congresso, rischia di liquefarsi.
Poi c’è la Corte Suprema, un tema cruciale emerso finalmente anche nel dibattito dell’altra notte. Con Hillary alla Casa Bianca sarebbe lei a nominare il giudice mancante dopo la morte di Antonin Scalia e per la prima volta dai tempi di Nixon (1971) la Corte avrebbe una maggioranza progressista che potrebbe restare tale per decenni. La Clinton ha confermato i peggiori timori dei conservatori. Senza mai menzionare le parole “rispetto della Costituzione”, ha ammesso di voler cambiare “direzione” alla Corte, scegliendo una figura che vada oltre quella del rispettato giurista, qualcuno che “comprenda come funziona il mondo, che abbia esperienza di vita reale”. Praticamente un attivista politico. Fondamentalmente ha lasciato intendere di volere una Corte “legislativa”. É in gioco quindi l’identità stessa dell’America dei prossimi 30 anni. Comunque vada Trump sarà una parentesi, ci sono equilibri politici (nel partito e nel Paese) che si possono modificare, ma non la maggioranza della Corte Suprema una volta messa nelle mani della Clinton. Gli elettori repubblicani sono determinati ad impedirlo ad ogni costo, anche se si chiama Trump. E in gran parte non perdonerebbero al partito una sconfitta determinata o aggravata da un tradimento ai suoi danni.
L’establishment Gop non è ancora in sintonia con la rabbia profonda che percorre i suoi elettori, non tanto per come va l’economia o il tasso di disoccupazione, ma per la deriva socialdemocratica che sta mutando il dna del Paese. Su temi come il possesso di armi, sulle politiche socio-economiche, con Hillary alla Casa Bianca dopo otto anni di Obama temono un’ulteriore “europeizzazione” degli Stati Uniti. Per molti va fermata a qualsiasi costo, anche assumendosi il rischio di eleggere un candidato controverso e impreparato come Trump. Dalle colonne del Washington Post, lo scrittore Jim Ruth avverte che c’è una “nuova maggioranza silenziosa“, una fetta importante della classe media americana, a cui Trump non piace ma che è pronta a votarlo lo stesso, perché “ha una sola qualità redimente: non è Hillary Clinton. Non vuole trasformare gli Stati Uniti in una democrazia sociale sul modello europeo, basata sul politically correct”. È un bullo, un demagogo, ma anche l’unico in grado di “preservare l’American way of life come la conosciamo. Per noi, il pensiero di altri quattro o otto anni di agenda progressista che inquini il sogno americano è anche più pericoloso per la sopravvivenza del Paese di quanto lo sia Trump”. La vera incognita è se questa maggioranza si manifesterà o no nelle urne, se torneranno a votare milioni di americani bianchi che non votano da decenni per l’assenza di una vera alternativa all’establishment rappresentato dai due partiti tradizionali.
Un’ultima nota sulla faziosità dei mainstream media. Gli stessi, per i quali dopo il primo dibattito era importante mettere a verbale che lo aveva vinto ai punti la Clinton. Oggi non importa più chi ha vinto, importa che il dibattito è stato bruttissimo, il peggiore di sempre, un duello velenoso e sporco. Tutto, pur di evitare di dire che l’altra sera ha vinto Trump.