Sono giornate queste in cui il mondo tira il fiato e con esso le popolazioni civili di Israele e di Gaza grazie alla tregua in corso. Un cessate il fuoco che sta portando finalmente alla liberazione degli ostaggi rapiti da Hamas scambiati con soggetti palestinesi che si erano macchiati di crimini di varia natura, compreso l’accoltellamento di civili e soldati israeliani.
È bene precisare questo aspetto perché, forse qualcuno lo dimentica, questo scambio non solo è impari numericamente (la proporzione 1 a 3), ma è anche lo scambio tra civili innocenti, tra cui molti bambini, e criminali, seppure molti giovanissimi, di varia natura.
Tregua a Gaza: Hamas non ha il controllo degli ostaggi
Il quadro inquietante che sta emergendo proprio da questi accordi e che Hamas non è riuscito a mantenere il controllo su tutti gli ostaggi. Come rivelato dal primo ministro del Qatar Al-Tahni, la spartizione dei rapiti, avvenuta tra le varie bande terroriste, sta rallentando e rischia di pregiudicare futuri scambi di prigionieri proprio perché Hamas, come qualsiasi banda di rapitori in puro stile “anonima sequestri”, ha perso di vista i propri ostaggi e ne ha perso il controllo. Qualora ce ne fosse stato bisogno, questo conferma al mondo la pericolosità di un gruppo che qualcuno in Occidente si ostina a considerare protagonista di una lotta partigiana, ma che invece è semplicemente una gang di malavitosi ancora al potere, speriamo per poco, nella Striscia di Gaza e sostenuta dai capi della cupola mafiosa iraniana.
Intanto, i primi racconti che trapelano dalle persone liberate parlano di una detenzione molto simile a quella di un sistema carcerario dove a prevalere sono stati il buio, il freddo e la promiscuità. Non è un caso che per molti sequestrati si siano riscontrati perdite di peso e ferite molto gravi da curare negli ospedali israeliani. Per non parlare dei danni psicologici conseguenti all’attacco subito ed alla prigionia e dei lutti. Tanti ostaggi non troveranno più nessun familiare ad accoglierli, tanti bambini saranno orfani e questo è l’aspetto più drammatico della questione. Sarà compito di Israele e dell’intero popolo ebraico “adottare” con amore tutti questi superstiti, come fossero sopravvissuti ad una Shoah. Lo stesso utilizzo strumentale di guerra psicologica dei prigionieri, in alcuni casi dichiarati morti da Hamas e poi restituiti, completa il quadro dell’abisso morale in cui questa organizzazione ha trascinato e sta trascinando l’umanità intera dal 7 ottobre, così come l’utilizzo della propria gente come scudo umano.
Haniyeh: “Abbiamo bisogno del sangue dei bambini e degli anziani”
La famosa invettiva, pronunciata un mese fa, da uno dei leader del movimento nazi islamista, Haniyeh, “…abbiamo bisogno del sangue dei bambini e degli anziani per risvegliare dentro di noi lo spirito rivoluzionario…”, rappresenterà negli anni a venire uno dei manifesti più macabri di questa tragedia, cominciata con il pogrom ed il rastrellamento antiebraico del 7 ottobre scorso.
In queste ore c’è solo da augurarsi che Hamas non riesca ad utilizzare la tregua per riarmarsi e serrare di nuovo le fila per le prossime battaglie. Israele, attraverso le dichiarazioni del suo ministro della Difesa Gallant, ha già annunciato che al termine delle tregue le operazioni di guerra per debellare l’organizzazione criminale andranno avanti e di questo nessuno potrà e dovrà scandalizzarsi. Israele ha il diritto ed il dovere di proseguire fino alla vittoria, in una guerra che non ammetterà altro risultato che la cancellazione di Hamas ed il suo allontanamento definitivo da Gaza. Solo allora, finalmente, si potranno fare considerazioni di carattere politico e diplomatico.
La speranza è che queste tregue consentano di far tornare a casa il numero più alto possibile di ostaggi, ma dobbiamo avere la consapevolezza che il sistema mafioso di Hamas non consentirà che siano la totalità e che Israele dovrà affrontare ancora trattative complicate e momenti di conflitto dolorosi e con lei la popolazione civile di Gaza, anch’essa ostaggio dei nazi islamisti.
È una guerra, non una azione antiterroristica. Una guerra.