Il fallimento del tentativo di Fathi Bashagha, Primo Ministro del Governo di Stabilità Nazionale (GSN), nominato a febbraio 2022 dalla House of Representatives (HoR) e sostenuto almeno inizialmente dall’organo parlamentare di Tobruk e dallo stesso Generale Khalifa Haftar, di entrare a Tripoli per insediarsi al posto del Governo di Unità Nazionale (GUN) guidato da Dbeibah, operante fino a giugno 2022 sotto il cappello del Libyan Political Dialogue Forum (LPDF), ha attivato un meccanismo di progressivo riassetto dei poteri e degli equilibri tra i vari attori libici. Lo stesso tentativo da parte delle Nazioni Unite, per il tramite del nuovo Rappresentante Speciale per la Libia, il senegalese Abdoulaye Bathily, di riprendere i colloqui per creare un nuovo quadro negoziale tra le parti ha probabilmente spinto gli attori nazionali libici a un’azione più decisa, nel tentativo di arginare il rischio di accordi e/o decisioni esterni non concordati con i vertici nazionali attualmente esistenti.
Negli ultimi mesi, infatti, i rappresentanti delle due fazioni parlamentari libiche, l’HoR di Tobruk e l’High Council of State (HCS) di Tripoli, si sono incontrati a Il Cairo per tentare, sotto la mediazione egiziana, di definire un quadro legislativo che possa condurre la Libia verso elezioni, dopo che quelle del 24 dicembre 2021 sono state rimandate sine die. Il 5 gennaio, due settimane dopo l’ultimo round di negoziati e proprio mentre Bathily si dimostrava più attivo nelle manovre per avviare un nuovo processo di dialogo, il Presidente dell’HoR, Aguila Saleh, e il capo dell’HCS, Khalid al-Mishri, hanno annunciato il raggiungimento di un’intesa di massima per la gestione delle candidature per future elezioni e per la definizione di un quadro legislativo che potesse supportare le elezioni presidenziali e parlamentari.
Sebbene la dichiarazione del 5 gennaio abbia dato prova di una qualche forma di intesa tra le due parti, HoR e HCS, in contrasto con quanto accaduto in tema soprattutto di legge elettorale nei mesi precedenti alle elezioni poi rimandate del dicembre 2021, in una prospettiva concreta, essa rimane ancora estremamente vaga e carica di incognite. Con la dichiarazione, infatti, si è definito tuttalpiù un quadro di massima in cui HoR e HCS si sono detti disponibili a collaborare in futuro, ma ciò non esclude di per sé nuove tensioni tra i due organi parlamentari soprattutto in una eventuale sede di definizione degli elementi principali della legge elettorale e quelli della costituzione. Entrambe le Camere, infatti, sembrano concentrate più sull’obiettivo di assicurarsi la propria sopravvivenza nel contesto di eventuali future elezioni, e dunque con la creazione di nuove legittime istituzioni, piuttosto che sulla reale possibilità di tenere elezioni nel Paese.
La precarietà dell’intesa raggiunta a inizio 2023 tra HoR e HCS è, del resto, emersa fin da subito, quando in un’intervista rilasciata nello stesso mese di gennaio, al-Mishri ha dichiarato che Saleh avrebbe rifiutato la firma di un documento ufficiale di intesa. Dal canto suo, il presidente dell’HoR ha reso noto, tramite i social media di aver inviato, successivamente alla dichiarazione del 5 gennaio, una proposta all’UNSMIL sulla formazione di un nuovo governo di transizione che dovrebbe sostituire il GUN e il GNS. Non è stato chiarito, tuttavia, se la proposta avanzata da Saleh sia stata elaborata congiuntamente all’HCS, in ossequio a quanto dichiarato il 5 gennaio, o se si tratti di un documento redatto unilateralmente dalla Camera di Tobruk. In quest’ultimo caso, infatti, il modus operandi dell’HoR, e del suo Presidente, non sarebbe poi così dissimile, nella sua impostazione di atto unilaterale, da quanto già accaduto con la nomina del GSN tra gennaio e febbraio, con la sola differenza che Saleh starebbe ora cercando di creare un organo esecutivo di transizione che possa godere anche del supporto dell’UNSMIL. L’appoggio delle Nazioni Unite e della comunità internazionale a un nuovo governo promosso da Saleh, infatti, significherebbe sottrarre al GUN di Dbeibah l’attuale sostegno internazionale e dunque indebolirlo drasticamente, ponendo viceversa al centro delle dinamiche interne e internazionali un governo vicino all’HoR e ai suoi esponenti. In sostanza, nonostante l’ottimismo iniziale, la dichiarazione del 5 gennaio, rilasciata molto probabilmente più per ricondurre il potere decisionale sul processo de Il Cairo e sui suoi protagonisti, HoR e HSC, che per addivenire a una reale soluzione alla crisi di legittimità e alla proliferazione dei centri di potere in Libia, è apparsa fin da subito di portata quantomeno limitata, inserendosi più realisticamente in un contesto in cui ambo le parti continuano a giocare la propria partita nell’intento di ottenere quanti più vantaggi possibili anche da future elezioni. A meno di un mese da quella dichiarazione, infatti, può già parlarsi di un fallimento de facto della cooperazione tra le due Camere libiche o quantomeno di un nuovo stallo nel dialogo tra esse. Sebbene tale stallo o fallimento apra maggiori spazi alle Nazioni Unite e al loro inviato Speciale per tracciare un nuovo percorso negoziale e una nuova tabella di marcia per il Paese, l’eventuale imposizione di progetti esterni al panorama libico porterebbe ancora una volta con sé il rischio di fallimento degli stessi poiché non corrispondenti alle strategie e agli interessi di tutti gli attori nazionali, ma ancorati al riconoscimento, come avvenuto in passato, di una sola delle fazioni in campo. Tale rischio può essere mitigato soltanto con un processo di ristrutturazione delle istituzioni libiche che riesca realmente a integrare tutti i principali attori nazionali; emarginare dal processo decisionale volto alla ricostruzione parte di questi attori comporterebbe, infatti, con ogni probabilità, il rinnovato fallimento di qualsiasi progetto di ricostruzione istituzionale e ovviamente anche di qualsiasi progetto elettorale.
Rebus sic stantibus, e a prescindere dagli sforzi e dagli annunci, è improbabile che il Paese possa realmente vedere un riassetto degli equilibri tra le varie fazioni politiche tale da portare concretamente a elezioni entro il 2023. La frammentazione del potere tra numerosi poli e la presenza di innumerevoli e spesso opposti interessi comporterà anche nel breve-medio periodo ulteriore instabilità politica e soprattutto incertezza istituzionale. La moltiplicazione dei poli decisionali e il loro continuo riassetto in funzione di adattamento alle mutevoli condizioni, infatti, rischia di condurre alla coesistenza prolungata di svariati centri di potere i quali, una volta strutturatisi, difficilmente opteranno volontariamente per un ritiro dalla scena politica libica e dalla competizione per le sfere di influenza (a livello territoriale e di risorse). Al contrario, tanto più singoli attori vedranno messi in pericolo i propri interessi, tanto più la posta in gioco potrebbe spingere verso posizioni più intransigenti e finanche più violente. Le stesse alleanze, militari ma anche politiche, appaiono in un simile contesto particolarmente precarie, potendo ridefinirsi sulla base delle mutevoli condizioni in maniera anche estremamente repentina. È emblematica in tal senso la vicenda personale di Bashagha così come i più recenti sviluppi del governo da lui guidato, il GSN: Bashagha è stato Ministro degli Interni nel precedente Governo tripolino di Accordo Nazionale (GAN) guidato da Fayez al-Serraj per poi cambiare schieramento e unirsi all’asse di Tobruk. Dopo aver svolto un ruolo chiave nella gestione della difesa di Tripoli durante l’offensiva lanciata da Haftar tra il 2019 e il 2020, Bashagha ha, infatti, stretto un accordo proprio con il generale Haftar e con il Presidente dell’HoR, Aguila Saleh, tanto da essere scelto a febbraio del 2022 come capo del GSN, votato dall’HoR in opposizione al GUN di Dbeibah. Ma lo stesso Bashagha, dopo essere stato supportato da Saleh e da Haftar, ha visto negli ultimi mesi venire meno dapprima il sostegno del Generale della Cirenaica e successivamente anche quello dello stesso HoR. Il chiaro riferimento di Saleh alla creazione di un terzo governo, così come dichiarato proprio il 5 gennaio da Il Cairo, è indice infatti della perdita per il GSN di Bashagha dell’appoggio dell’HoR, cioè proprio dell’organo parlamentare che lo aveva nominato a febbraio 2022 Primo Ministro costituendo, tra l’altro, la sua sola base di legittimità. Lo stesso Generale Haftar, inizialmente schierato a favore del GSN, ha dimostrato almeno dall’inizio del 2022 un approccio impostato sulla possibilità di riconsiderare le proprie posizioni: già a luglio 2022 la nomina da parte di Dbeibah di Farhat Bengdara a Presidente della National Oil Corporation (NOC), in sostituzione di Mustafa Sanallah, aveva fatto ipotizzare una possibile intesa tra il capo del GUN e il Generale Haftar. Bengdara, infatti, è considerato vicino al Generale della Cirenaica e al figlio, Saddam Haftar, ritenuto il successore di Khalifa Haftar soprattutto dopo alcune recenti indiscrezioni. Per tutto il 2022 e in particolare nei suoi ultimi mesi, i media hanno riferito di incontri tra il Generale della Cirenaica ed esponenti del GUN, facendo presagire un avvicinamento sempre più diretto tra Haftar e Dbeibah, avvicinamento che evidentemente andrebbe a segnare, da un lato, il definitivo venire meno del precedente appoggio dato da Haftar al GSN e, dall’altro, la convergenza di interessi tra Dbeibah e Haftar, in opposizione probabilmente a quelli degli organi parlamentari libici. Più recentemente, infatti, l’incontro del 9 gennaio 2023 tra il capo del PC, Mohamed Menfi, e Haftar potrebbe confermare non solo un sostegno da parte di Haftar al GUN ma anche la strutturazione di un’intesa tra le parti diretta allo scioglimento dell’HoR e dell’HCS. Un eventuale accordo tra Dbeibah e Haftar, dunque, potrebbe verosimilmente prevedere una permanenza al potere del GUN, lo scioglimento di tutti gli altri centri decisionali e contestualmente un rimpasto di governo tramite il quale inserire Haftar (o una personalità a lui vicina) in un posto di potere dell’esecutivo, quale ad esempio la leadership del dicastero della Difesa. Tuttavia, anche in questo caso il progetto a cui sembrano lavorare Haftar e Dbeibah non implicherebbe di per sé un volontario e immediato ritiro di Bashagha dalla vita politica libica, né, ancor meno, l’accettazione passiva da parte dell’HoR e dell’HCS di un loro eventuale scioglimento.
Se la posizione di Bashagha risulta al momento quella indubbiamente più instabile, avendo perso il supporto politico e militare del fronte Saleh-Haftar, anche la posizione di Dbeibah non è immune da rischi. Un terzo presunto esecutivo cui fa riferimento la dichiarazione di Saleh e di al-Mishri e di cui si parla ormai da diversi mesi, rischia infatti di esercitare una pressione crescente anche sul GUN, il quale ha visto la propria legittimità messa in dubbio in maniera sempre più diretta dopo il fallimento delle elezioni del 2021 e la successiva scadenza del mandato dell’LPDF. Sebbene Dbeibah continui a essere l’interlocutore ufficialmente riconosciuto da gran parte degli Stati occidentali, la sua posizione non è garantita dalla legittimità interna e neanche da un generale riconoscimento internazionale. La comunità degli Stati arabi, ad esempio, ha dimostrato, in occasione della 158° sessione preparatoria della Lega Araba, di non essere allineata con l’Occidente sul tema della legittimità del GUN e di contestare il ruolo dell’esecutivo all’interno dell’organismo regionale quale rappresentante del Paese nordafricano. Il fallimento della sessione preparatoria, declassata a mera sessione consultiva in ragione della presenza di soli 7 Paesi membri su 22 e dell’assenza dello stesso Segretario Generale, Ahmed Aboul Gheit, può leggersi infatti come una presa di posizione politica regionale intesa a non riconoscere al GUN il ruolo professato di esecutivo legittimo della Libia, mostrando contestualmente il suo isolamento all’interno della comunità degli Stati arabi. La dimostrazione politica dei Paesi della Lega Araba arriva, poi, in un momento in cui il governo guidato da Dbeibah appare già sottoposto a crescenti pressioni, anche di piazza, legate in particolare all’estradizione di Abu Agila Massoud per le vicende del caso Lockerbie, alla gestione della prigionia di Abdullah Senussi, all’operato dell’esecutivo in materia di politica economica e soprattutto ai continui resoconti dei media sul sistema di corruzione diffusa all’interno dei vertici governativi. Tutti questi fattori sono poi sfruttati della controparte, il GSN, per cercare di indebolire ulteriormente il GUN: dopo aver accolto con gioia il fallimento della riunione della Lega Araba, Bashagha è tornato a esprimere la propria ferma opposizione al GUN, considerato illegittimo e pertanto non titolare dei poteri normalmente in capo a un esecutivo, in occasione della visita del Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, e dell’accordo tra la NOC e l’italiana ENI. Bashagha, infatti, ha sottolineato che il GUN non detiene alcuna autorità formale per firmare protocolli d’intesa o accordi che vincolano lo Stato libico e che, conseguentemente, sarà interpellata la magistratura nazionale al fine di poter valutare la liceità degli accordi siglati. Lo stesso ministro libico del Petrolio e del Gas del GUN, Mohamed Aoun, ha espresso dubbi in merito alla liceità dell’iter procedurale di stipula dell’accordo tra la NOC ed ENI, poiché sulla base della normativa esistente (Legge petrolifera n. 25 del 1955, legge istitutiva della società n. 24 del 1970, nonché della delibera n. 10 del 1970) l’accordo sarebbe dovuto essere sottoposto ad approvazione preventiva del Ministero del Petrolio e del Gas il quale, a sua volta, l’avrebbe dovuto trasferire al Consiglio dei Ministri. A tal proposito si segnala anche che, il 9 gennaio 2023, un tribunale libico ha sospeso l’accordo di esplorazione energetica tra la Turchia e il GUN firmato a ottobre 2022, proprio sulla base della dubbia legittimità del governo Dbeibah e dunque sulla possibilità che il GUN possa stipulare accordi vincolanti per lo stato libico. Il problema della legittimità della controparte libica, dunque, direttamente collegata alla generale situazione di incertezza istituzionale, rischia di toccare anche interessi terzi soprattutto nel momento in cui dovesse assistersi a uno stravolgimento delle attuali posizioni apicali libiche. Gli accordi già stipulati potrebbero, infatti, risultare nel lungo periodo incerti poiché si basano sulla permanenza al potere del GUN guidato da Dbeibah.
Anche in caso di una intesa formale tra Dbeibah e Haftar per la creazione di istituzioni condivise, accordo che probabilmente tutelerebbe in misura maggiore una futura ricostruzione della Libia, potrebbero individuarsi alcuni fattori potenzialmente destabilizzanti: oltre ai dubbi già sollevati sulla stabilità della posizione di Dbeibah, è da prendere in considerazione anche la posizione internazionale di Haftar e soprattutto le dinamiche che si svilupperebbero, all’interno del suo schieramento, in caso di successione. Sul primo punto il riferimento è ai rapporti tra Haftar e il Wagner Group, soprattutto alla luce della decisione presa dagli USA di inserire la società paramilitare russa nella lista delle organizzazioni criminali transnazionali. Sebbene la designazione sia principalmente correlata alle operazioni del gruppo Wagner in Ucraina, essa potrebbe avere conseguenze anche sullo scenario libico e in particolare su Haftar e i suoi figli. La designazione comporta, infatti, il divieto per i cittadini statunitensi di fornire fondi, servizi o beni al gruppo, pena l’essere perseguiti penalmente. Khalifa Haftar gode di doppia cittadinanza statunitense così come lo stesso figlio Saddam; pertanto, in ragione dei loro presunti rapporti con il Wagner Group, sarebbero entrambi perseguibili ai sensi del diritto penale USA. Probabilmente anche sulla base di queste considerazioni, Haftar potrebbe essere sempre più interessato al raggiungimento di un accordo diretto con Dbeibah, e ciò ancor di più dopo che, con la visita il 12 gennaio 2023 del direttore della Central Intelligence Agency (CIA) statunitense, William Joseph Burns, il Primo Ministro del GUN sembra aver ottenuto un più chiaro supporto USA. Sulle posizioni del Generale della Cirenaica, ma in generale sugli equilibri futuri della Libia e delle alleanze politiche, pesano, poi, anche le dinamiche interne allo stesso nucleo famigliare Haftar: recentemente, infatti, alcuni eventi, anche violenti, registratisi a Bengasi avrebbero fatto emergere preoccupazioni in merito a possibili crescenti tensioni tra Khaled Haftar e Saddam Haftar. La prospettiva di un passaggio di consegne all’apice della gerarchia del Libyan National Army tra il Generale Haftar e presumibilmente il figlio Saddam, potrebbe progressivamente portare a una maggiore destabilizzazione non solo della Cirenaica ma anche dei rapporti e delle alleanze eventualmente disegnate dal padre.