Sono oramai decenni che si sente parlare di “lotta globale al terrorismo”, in particolare dopo gli eventi dell’11 settembre 2001 con l’attacco qaedista contro le Twin Towers a New York. Il fenomeno è indubbiamente un sostanziale pericolo per la sicurezza globale visto che a partire da metà anni ’90 il terrorismo di matrice islamista, in tutte le sue forme, mutamenti e manifestazioni, ha colpito un po’ ovunque nel mondo: dall’Argentina a Bali, dall’Africa all’Europa, in USA, in India ed ha infiammato il Medio Oriente. Con l’avvento dell’Isis nel Siraq e l’attuale fase “post-Isis” la situazione non è certo migliorata, anzi, il fenomeno è diventato ancor più ibrido, estremamente dinamico ed imprevedibile.
Nonostante la dichiarazione di guerra globale al terrorismo, è paradossale come non si sia ancora trovato un accordo a livello internazionale su cosa si intenda con il termine “terrorismo”. Sono numerose infatti le definizioni fornite per descrivere il fenomeno, non solo da Paese a Paese, ma persino tra agenzie che si occupano del contrasto al fenomeno.
In certi casi si è addirittura arrivati a sostenere tesi quanto meno strampalate su determinate organizzazioni come i Fratelli Musulmani che, a detta di alcuni addetti ai lavori, sarebbero “estremisti” ma non “terroristi”. Un’affermazione a dir poco assurda visto che l’estremismo è la “linfa vitale ideologica” che giustifica il passaggio alla violenza. Del resto come spiega il Dr. Boaz Ganor, esperto di terrorismo, fondatore e direttore dell’International Institute for Counter-Terrorism di Herzliya, Israele, le organizzazioni terroriste sono composte dal almeno due parti: un braccio politico e uno armato (ad esempio Hamas e il suo braccio armato, le brigate Izz ad-Din al-Qassam); in aggiunta, alcune comprendono anche un ramo che si occupa di welfare e finanziamenti per far breccia nel tessuto sociale.
Vi è un problema di fondo nel definire una specifica organizzazione come “terrorista” ed è un problema di stampo geopolitico-strategico. Come illustrato da Ganor, un terrorista può essere tale per alcuni e “combattente per la libertà” per altri.
I mujahidin afghani e arabi che combattevano contro i sovietici in Afghanistan erano terroristi agli occhi di Mosca e “freedom fighters” per l’Occidente. Curiosamente, una parte di questi combattenti arabi e arabofoni daranno poi vita ad al-Qaeda, che diverrà il nemico numero uno dell’Occidente nel 2001. Attenzione però, perché la costola siriana di al-Qaeda, Jabhat al-Nusra, tollerata e giustificata dall’Occidente e dagli stessi Stati Uniti in quanto utile in chiave anti-Assad.
Basta pensare a quanto dichiarato nel febbraio del 2020 dall’inviato statunitense per la Siria, James Jeffery, nei confronti di Hayyat Tahrir al-Sham (nome col quale si era ribattezzata Jabhat al-Nusra nel 2017); secondo Jeffrey sarebbe stato possibile non considerare Hayat Tahrir al-Sham un’organizzazione terroristica e in determinate circostanze addirittura dialogarci poiché l’organizzazione non aveva condotto attacchi al di fuori dei confini siriani”.
Vi sono poi i casi di Hamas e Hezbollah, nella lista nera di Israele, Stati Uniti ed Unione Europea, ma non della Russia. Questo in quanto l’Iran è un solido alleato di Mosca e Hezbollah è notoriamente un proxy iraniano in terra libanese.
Tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000 i separatisti ceceni venivano definiti da Mosca “terroristi”, ma per diversi governi occidentali erano “miliziani”, “combattenti per l’indipendenza della Cecenia”. Tali gruppi divennero però un problema ben più serio con l’avvento dell’Emirato del Caucaso. Il terrorismo ceceno arrivò infatti oltre-oceano e colpì alla maratona di Boston nell’aprile del 2013.
Come sostiene giustamente Ganor, trovare una definizione di “terrorismo” universalmente condivisa è fondamentale per poter adeguatamente contrastare tale fenomeno. Come si fa infatti a combattere un nemico se non sappiamo esattamente contro cosa stiamo lottando? Come si fa a mettere al bando a livello internazionale un’organizzazione terrorista, a congelarne i finanziamenti, a contrastarne l’ideologia, ad estradarne i membri, se non si è tutti d’accordo su cosa sia il terrorismo?
Per il Dipartimento di Stato americano il terrorismo equivale a violenza premeditata e politicamente motivata nei confronti di obiettivi “non-combattenti”. Ganor illustra come il termine “non-combattenti” faccia particolare riferimento all’attacco contro la nave cacciatorpediniere statunitense USS Cole del 12 ottobre 2000 per mano di Al-Qaeda, mentre era ferma per rifornimento al porto di Aden, Yemen. L’azione causò la morte di 17 marinai oltre al commando terroristico e 39 feriti. Per l’esperto israeliano si può in questo caso parlare di “atto ostile”, di “atto di guerra”, ma non terrorismo, come non lo è un attacco contro militari israeliani che seppur in servizio non si trovano sul campo di battaglia, in modalità operativa.
Ciò non significa legittimare il terrorismo in quanto chiunque vede attaccati i propri soldati ha diritto a rispondere e a definire l’attaccante come “nemico”, ma ciò non è necessariamente sinonimo di “terrorista”. Un conto è colpire una postazione militare e un altro conto è massacrare dei civili inermi in una scuola o su un autobus.
Ganor mette poi in evidenza l’assurda definizione di “terrorismo” fornita dalla World Muslim League nel 2001 a Durban, Sud Africa; una definizione di quattro pagine il cui concetto fondamentale è espresso nelle seguenti parole:
Il terrorismo è un attacco oltraggioso compiuto da individui, gruppi o stati contro l’essere umano (la sua religione, vita, intelletto, proprietà e onore). Comprende tutte le forme di intimidazione, danno, minaccia, uccisione senza giusta causa…”
Cosa si intende con “giusta causa”? Chi ha il compito di stabilirlo? Quindi se si pensa di condividere una “giusta causa” allora è tutto lecito?
Il terrorismo non può essere identificato in base agli obiettivi ma esclusivamente sul piano tattico e cioè sulla base di attacchi contro i civili (elemento inaccettabile anche se una causa può essere considerata “giusta”). Serve una definizione oggettiva, priva di giudizi di valore, altrimenti non può essere condivisa a livello internazionale.
“Chi attacca i miei soldati è un problema mio, chi attacca i miei civili è un problema della comunità internazionale”.
Ha dunque senso oggi parlare di “lotta globale al terrorismo” quando il terrorismo è palesemente soggettivo in base a motivazioni di tipo politico-strategico? Quando non se ne condivide il significato sul piano internazionale?
Una definizione universalmente condivisa è dunque più che mai necessaria e Ganor ne propone una chiara, breve ed oggettiva: il terrorismo può essere definito come: “l’uso deliberato della violenza, perpetrata contro obiettivi civili, per fini politici”.
Una definizione che tra l’altro non riguarda soltanto organizzazioni e gruppi, ma è applicabile anche a uno Stato nel momento in cui perseguita e colpisce i propri cittadini (esempio: l’Iran). Il terrorismo è infatti tale in base alle modalità con cui opera.
Sotto certi aspetti può apparire come ingenuo o utopico pensare che si possa arrivare a una definizione comune del fenomeno terroristico, lo ammette lo stesso Ganor il quale evidenzia però come sia l’unica via percorribile per uscire dal caos.
Certamente è impensabile che l’Iran o la Russia possano definire Hezbollah o Hamas come “terrorista” perché colpisce obiettivi civili in quanto tali gruppi sono essenziali proxy utilizzati dall’asse Mosca-Teheran in Medio Oriente.
Ma non serve neanche andare fino in Iran per esaminare il fenomeno, basta pensare al nostro Occidente dove non si è ancora riusciti a metterci d’accordo su attori chiaramente problematici come le Guardie Rivoluzionarie iraniane (IRGC), la cui messa a bando è stata messa in stand-by da Londra e nemmeno presa in considerazione da latri Paesi europei per paura di compromettere i rapporti diplomatici con quel regime khomeinista che sta perseguitando i manifestanti di piazza.
Stesso discorso per la Fratellanza Musulmana, prevalentemente a causa dei noti rapporti di certi Paesi occidentali con il Qatar, principale sponsor del gruppo islamista radicale, oltre che per motivi di matrice domestica. E’ infatti molto difficile prendere provvedimenti nei confronti di un’organizzazione alla quale negli anni si è lasciato ampio margine di manovra e in certi casi anche un certo riconoscimento di rappresentatività da parte delle istituzioni. Attualmente Paesi come Francia e Austria si sono mossi nella giusta direzione di contrasto, ma ci vorrà ancora del tempo per arrivare a risultati soddisfacenti.
E’ dunque utopico pensare a una definizione di terrorismo che possa essere universalmente condivisa; a questo punto bisogna però prendere atto con onestà del fatto che ciò che manca non sono i mezzi, ma la volontà di affrontare il fenomeno. Come già affermato da Ganor, come possiamo parlare di lotta transnazionale al terrorismo se non ne condividiamo neanche il reale significato?