È un 25enne di origini armene, Alek Minassian, l’autore dell’attacco perpetrato alle 13 di ieri, ora locale, nella metropoli canadese di Toronto e costato la vita a dieci persone investite da un furgone bianco condotto a velocità folle sui marciapiedi del centro cittadino. Il bilancio, al momento, è di 10 morti e 16 feriti, tra i quali quattro in condizioni critiche.
Chi è l’autore della strage
Si tratta di un canadese di origini armene residente a Richmond Hill, località non lontana da Toronto, iscritto alla facoltà di informatica del Seneca College. Pur non risultando noto alle forze dell’ordine, alcune fonti hanno riferito che ultimamente il giovane avrebbe effettuato alcune ricerche sul web circa la strage perpetrata nel 2014 a Isla Vista, in California, dove un 22enne investì e uccise 6 persone ferendone altre 14 vicino al campus di Santa Barbara.
Al momento la polizia di Toronto, pur parlando di atto deliberato, non ha trovato alcun riscontro su eventuali connessioni con il terrorismo del 25enne. La pista battuta dagli investigatori sarebbe, invece, quella legata al gesto di una persona mentalmente instabile con gravi disturbi psichici.
Ma le modalità seguite da Alek Minassian per compiere la strage, ricalcano in modo palese le regole indicate per condurre attacchi nei paesi dei miscredenti da parte dei seguaci del Califfato islamico che, sul web, hanno comunque lasciato pericolose indicazioni.
La dinamica
Mentre a pochi chilometri di distanza è in corso di svolgimento il G7 dei ministri dell’Esteri, all’ora di pranzo, il mezzo dell’agenzia di noleggio Ryder improvvisamente devia il percorso dalla sede stradale e sale sul marciapiede della Yonge Street, un’affollata via del centro di Toronto, percorrendo circa un chilometro e falciando i pedoni che tentavano di salvarsi.
Giunto in prossimità di un’agenzia di cambio, il furgone si blocca, probabilmente per i danni riportati dai ripetuti impatti. A quel punto il conducente scende armato di una pistola che non esita a puntare su un agente di polizia che, dopo un breve inseguimento, lo aveva raggiunto.
Nei trenta secondi successivi, l’uomo esita, chiede all’agente di sparare, quindi si arrende consegnandosi al poliziotto.
Il rischio emulazione
Le tracce lasciate dall’Isis hanno aperto la strada a gesti di emulazione anche da parte di soggetti distanti dal terrorismo islamista. In fondo, se i candidati al martirio sono i mujaheddin o comuni psicopatici o pseudo- ribelli che nulla hanno a che fare con la jihad, ma si appropriano di uno specifico “marchio di fabbrica” in grado di fornire loro un palcoscenico planetario, tanto meglio per il Daesh che, in ogni caso, ne ricava un’inaspettata e gratuita pubblicità, in attesa di un prossimo emulo, ovviamente, mentalmente instabile.