Nè un errore umano, né una tempesta perfetta, nossignore… potrebbe essere la via del business ad aver aperto la via del disastro sul Mottarone dove è precipitata la “cable car” che collega il “balcone naturale” delle Alpi con la ridente cittadina di Stresa sul Lago Maggiore.
A poche ore dalla tragedia, ecco le prime indiscrezioni sui nomi degli arrestati da parte della Procura di Verbania al termine dei lunghi interrogatori. Luigi Nerini (proprietario della Ferrovia del Mottarone), Enrico Perrocchio (Direttore dell’esercizio) e Gabriele Tadini (il Capo servizio) dovranno trovare le parole per spiegare al piccolo Eithan – una volta che si sveglierà completamente dal coma assistito in cui versa – unico sopravvissuto dell’immane tragedia, che i suoi genitori, il fratellino ed i suoi nonni non ci sono più. Così come dovranno farlo anche nei confronti dei familiari delle altre vittime perite in quel maledetto giorno di apparente spensieratezza.
Nemmeno il tempo di archiviare i fatti del Ponte Morandi, che nuovamente l’ombra delle orribili leggi del mercato e della sospetta sregolatezza nelle operazioni di manutenzione di una pubblica infrastruttura, segnano il punto a favore di un ipotetico profitto economico, ma purtroppo a discapito della priorità sulla sicurezza dei cittadini che invece la Costituzione di un Paese civile dovrebbe giustamente tutelare.
Già, il profitto… che certamente la piccola funivia del Mottarone era in grado di assicurare. Dai bilanci della società del 2019 si evince, infatti, che su un ricavo totale di 2 milioni di euro, 439.000 erano gli utili netti.
I turisti trasportati dalla piccola funiculare erano circa 100.000 ogni anno, ad un costo medio di 20 euro cadauno, ed ogni anno la Direzione della società poteva contare sul finanziamento pubblico del Comune di Stresa per quasi 130.000 euro.
Il colosso delle manutenzioni, Leitner, era l’incaricato di assicurare che l’impianto si muovesse nella piena efficienza e rispettando tutti i canoni possibili di sicurezza. Il suo contratto prevedeva, inoltre, un costo di servizio pari a 442.000 euro, circa il 20% degli incassi totali della funicolare. L’ultima manutenzione della società era stata eseguita il 3 maggio scorso.
Certo, il 2019 era il periodo pre-pandemico, ma il dubbio che si alimenta è che una scarsa attenzione alle basilari misure di sicurezza si fosse invece insinuato per contribuire a ridurre al minimo i costi di mantenimento dell’impianto, riportando velocemente i profitti alle stime degli anni precedenti alle chiusure dovute all’emergenza Covid-19.
Ma veniamo alla dinamica dell’incidente. Alle 12.30 circa di domenica 23 maggio il cavo traente dell’impianto si è spezzato, provocando il distacco e il cedimento di una delle cabine in transito dove si trovavano i 15 turisti ignari di cosa stesse per accadere. La cabina ha percorso all’indietro a forte velocità – si dice circa 120 Km/h – quando poi si è sganciata dal cavo portante a poca distanza da uno dei piloni del tracciato, rovinando al suolo da un’altezza di oltre 20 metri contro la macchia di alberi sottostanti. ma lontano da sentieri facilmente praticabili, rendendo di fatto complicate le attività di soccorso.
La scena del disastro che si è presentata ai soccorritori dei Vigili del Fuoco e del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico piemontese è stata impressionante, con corpi martoriati che in alcuni casi sono stati sbalzati dalla cabina nelle immediate vicinanze del luogo dell’impatto – veramente straziante.
Le indagini e l’analisi tecnica sull’intero impianto, posto immediatamente sotto sequestro dalla Procura di Verbania, si sono infine concentrate oltre che sul cavo che ha ceduto, anche sui così detti “forchettoni” (e sulle loro funzionalità), dispositivi che sono stati ritrovati inseriti inspiegabilmente sul sistema di freni di emergenza che hanno reso quest’ultimo inservibile ed incapace di funzionare. Queste piastre di metallo, che pesano circa 5 chili ciascuna, vengono, tipicamente in occasione delle sessioni di manutenzione, inserite manualmente nella parte alta del carrello della cabina dove si trovano le rotelle che scivolano lungo il cavo portante, al fine di tenere aperte le ganasce del freno di emergenza che si aziona automaticamente in caso di inefficienza del regolare funzionamento della cabinovia. Ma qualcuno riferisce che queste piastre vengano comunemente usate anche a fine giornata per ricoverare la cabina che è a monte, riportandola a valle ed evitare possibili blocchi dell’impianto che ritarderebbero il regolare servizio al pubblico e di conseguenza procurando un danno economico alla società.
Ma allora perché quel giorno i forchettoni non si trovavano accantonati nelle stazioni di arrivo e partenza così come ci si aspettava che avvenisse? Ci sono altre ragioni che spiegano il motivo per cui erano invece posizionati sul freno di emergenza della cabina? Forse queste ragioni erano dovute al fatto che il freno di emergenza aveva una qualche oscura inefficienza che ne impediva la regolare messa in servizio alla pubblica utenza, sempre in devozione alle sconsiderate leggi del profitto a tutti i costi?
Le indagini devono ancora fare pienamente luce sulle effettive cause del disastro, e noi cittadini di questa martoriata Italia certamente non vogliamo neanche prendere in considerazione che esistono ragioni orrendamente superiori, persino al diritto sacrosanto di un bambino di vivere e trascorrere uno spensierato pomeriggio accompagnato dal calore della sua famiglia.
Lo dobbiamo a Eithan, lo dobbiamo a tutte le altre vittime di questa immane tragedia.