“All we need is love”? L’immagine di un delfino circondata dai cuori capeggia sulla home page del Dubai Dolphinarium. Per il giorno di San Valentino, anche giornata dell’amore per i delfini, bastano poco più di 140 euro per nuotare in compagnia di questi adorabili animali. Con 30.000 visitatori al mese, il parco acquatico degli Emirati è solo l’ultima, in ordine di tempo, delle attrazioni sotto accusa per lo sfruttamento dei cetacei. Rapiti, intrappolati e sfruttati per un business milionario che coinvolge tutto il pianeta. Dall’Argentina al Giappone, dall’Egitto all’Iran, quasi duecento strutture sono diventate le prigioni di delfini ridotti in cattività e utilizzati per il nostro intrattenimento.
Baia di Taiji, Giappone. Da qui arriva la più grande percentuale di delfini per i parchi acquatici. Ogni animale può arrivare a costare più di 200.000 dollari. Ogni anno sono più di 20.000 i delfini, balene e piccoli cetacei uccisi per soddisfare abitudini culturali ed economiche. Un business che Sea Shepherd combatte da tempo. L’organizzazione no-profit, fondata negli Stati Uniti con il nome Conservation Society, per salvaguardare la vita marina, da qualche anno è presente anche in Italia e porta avanti le campagne internazionali, ma si avvicina anche ai più giovani, per spiegare chi sono davvero i delfini e comprendere che ciò che accade dall’altra parte del mondo ha cause più vicine di quanto pensiamo.
Secondo una ricerca del 2015 del Whale and Dolphin Conservation, in Europa sono 15 gli Stati in cui esistono i delfinari, e solo cinque di questi, tra cui l’Italia, hanno specifiche leggi sulla cattività. 33 delfinari per un totale di 309 cetacei di cinque specie diverse.