Si era convertito all’Islam in carcere e sui social inneggiava all’Isis istigando alla guerra santa. La Digos di Catania ha arresto un convertito italiano 32enne, Giuseppe d’Ignoti, sulla base di un provvedimento emesso dal gip, con l’accusa di apologia del terrorismo mediante strumenti telematici. L’ordinanza di custodia cautelare è stata notificata in carcere dove l’uomo era già detenuto dall’ottobre 2017 per reati nei confronti della ex convivente ucraina. Giuseppe d’Ignoti, pregiudicato per reati contro la persona, secondo gli inquirenti si era avvicinato alla dottrina islamista durante un suo periodo di detenzione nel carcere di Caltagirone nel 2011, sotto la guida di un altro detenuto marocchino, Aziz Sarrah, allora 31enne, rimpatriato nel 2017, a fine pena, per essere stato trovato in possesso di una bandiera dello Stato islamico. L’italiano, secondo le accuse, aveva assunto lo pseudonimo di Ahmed e con questo aveva iniziato un’intensa attività di propaganda della jihad sui social network. Nel 2015, inoltre, avrebbe diffuso le immagini di Maria Giulia Sergio, alias ‘Fatima’, l’italiana convertita all’Islam e trasferita in Siria dopo l’adesione ai proclami dell’Isis.
Propaganda sui social
Nelle chat “private” su Whatsapp, l’indagato avrebbe svolto un’intensa attività di proselitismo e reclutamento inviando video e immagini di scene cruente, fustigazioni e decapitazioni operate dalle milizie dell’Isis, oltre che i caratteristici “nasheed”, gli inni dedicati alla guerra santa. Video e immagini di cui imponeva la visione anche alla ex compagna. Il convertito, inoltre, esortava ad espandere i confini delle terre islamiche con atti di terrorismo da compiere anche con oggetti di uso comune, secondo i dettami dei video propagandati dallo Stato islamico, asserendo che molti come lui erano già pronti all’azione anche nel nostro Paese.
Le intercettazioni
L’indagine, si legge sul sito della Polizia, si riferisce a fatti che si sono verificati tra il 2016 ed il 2017 ed è stata condotta tramite pedinamenti, intercettazioni telefoniche, osservazioni e numerose testimonianze. Dagli accertamenti tecnici e dall’analisi forense digitale eseguiti dalla Polizia postale di Catania sulla memoria del telefono e sulla cronologia del browser è stato accertato che l’uomo diffondeva i suoi messaggi incitando al Jihad; l’arrestato invitava ad uccidere gli infedeli e a conquistare l’Occidente, manifestando odio verso qualsiasi cosa rappresentasse l’Occidente stesso.
La radicalizzazione in carcere
Il fenomeno delle conversioni in carcere non è certo nuovo alle cronache. I detenuti di religione islamica svolgono abitualmente le orazioni in locali comuni sotto la guida di imam, quasi sempre autoproclamati, che individuano tra i fedeli quelli più propensi a ricevere un vero e proprio indottrinamento teso a un successivo eventuale impiego “operativo”. La problematica è da tempo all’esame del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che ha formato diversi team di monitoraggio dei detenuti ritenuti a rischio radicalizzazione. Ma il fenomeno risale già dalla fine degli anni ’90, con l’arrivo degli ex mujaheddin reduci dalla guerra balcanica. Alcuni di essi assursero a ruoli apicali nella gerarchia stabilita all’interno dei penitenziari svolgendo opera di proselitismo e creando le basi per vere e proprie campagne di reclutamento di miliziani che, dopo la liberazione, sarebbero stati destinati a vari compiti sul suolo europeo grazie alla rete capillare creata ad hoc da soggetti già integrati nel tessuto sociale delle località prescelte.