Un discorso di destra, hanno ruggito ingrugniti dai banchi dell’opposizione. Ma quello di Giorgia Meloni alla Camera è un discorso che avrebbe dovuto fare la sinistra. O meglio che avrebbe voluto fare, se negli ultimi anni non fosse stata troppo indaffarata tra Capalbio e Twitter.
Un discorso politico e identitario come non se ne sentivano da tanto in Parlamento. Che non deve necessariamente essere condiviso, ma che sicuramente esprime con chiarezza il perimetro del nuovo governo, senza tentennamenti e occhiolini a certe autarchie che hanno invece affascinato esponenti dei governi precedenti.
E quella sinistra ormai più resort che case del popolo, che ha perso di vista le priorità del Paese, è stata ripagata con una sonora legnata alle elezioni politiche del 25 settembre. E ora frigna. E, maledetta coda di paglia, si agita assai quando la Meloni dice che “il motto di questo governo sarà non disturbare chi vuole fare”. Un discorso di avvio ad un esecutivo nato in uno dei lassi di tempo più brevi della storia repubblicana, come ha tenuto a ricordare anche il neo presidente del Consiglio ringraziando tutta la coalizione, il capo dello Stato e il premier uscente Mario Draghi. Senza versare neanche una goccia di olio di ricino. E senza canticchiare neanche una nota di Faccetta nera. E i compagni devono esserci rimasti male parecchio dopo tutto l’allarme diramato in cielo e in terra sul pericolo fascista.
Un premier di destra e donna. Che “ha rotto il tetto di cristallo”, così la Meloni alla Camera. E dopo anni di femminismo rosso anche questa è stato un colpo al cuore per le anime belle della sinistra paladine delle quote rosa. Un premier donna a capo di un governo politico espresso dalla volontà popolare. E quasi non lo ricordavamo più un esecutivo così.
Una donna non “con la gonna”, ma con i pantaloni e le scarpe da uomo e neanche questo è andato bene ai “sinistri” i quali non pare abbiano prestato tanta attenzione all’outfit di Mario Draghi nel giorno del suo insediamento. Loro, che rivendicano fino alla nausea la “parità di genere”, ma che puntualmente fanno due pesi e due misure. E le femministe sull’orlo di una crisi di nervi. La prima donna italiana Presidente del Consiglio ha persino chiarito che vorrà essere chiamata “il Presidente” e non “la Presidente” o “Presidentessa” o “Presidenta”, come la cacofonia sinistra tenta di imporre per sopperire all’incapacità di attuare una vera parità di genere, nei fatti e non solo a parole. Questa decisione ha mandato nel panico ulteriormente le suffragette contemporanee perché si sono trovate al cospetto di una donna che, forse, non ha come obiettivo della vita entrare in possesso di una borsa firmata e che magari neanche raglia davanti ad un paio di scarpe con il tacco.
Anche gli Antifascisti militanti sono rimasti con un palmo di naso. Forse pensavano di mettere paura al governo e alla Meloni, con manifestazioni e proteste di piazza. E invece, il Presidente del Consiglio ha mandato un messaggio chiaro il cui senso è il seguente: ragazzi, andate pure in piazza a protestare. So bene come funziona, ho fatto le stesse cose prima di voi. Quindi mi aspetto le vostre proteste e contestazioni, ci stanno. Ma non crediate di impensierirmi.
La rabbia dei compagni nei confronti di questa strana donna è arrivata puntuale sui social a margine del discorso alla Camera di Giorgia Meloni. Che ha invocato una riforma costituzionale in senso presidenziale, che ha detto di voler archiviare la logica dei bonus e rimuovere gli ostacoli al benessere sociale e che ha indicato il reddito di cittadinanza come una sconfitta. E che ha puntato il dito contro la cannabis legale. Ma ha anche ringraziato il personale sanitario impegnato durante la pandemia Covid. E non si è risparmiata sull’immigrazione dicendo che è necessario impedire che la selezione di ingresso in Italia la facciano gli scafisti.
E poi ancora un pensiero per le donne e gli uomini delle forze dell’ordine e anche per la situazione critica in cui è costretta a lavorare all’interno delle carceri la polizia penitenziaria. E la condanna di tutte le dittature, anche quella fascista, definendo “le leggi razziali il punto più basso della storia”. E poi il problema dell’approvvigionamento energetico e la posizione netta e atlantista anche sulla guerra in Ucraina. E tanti altri temi. Affrontati con passione, ma soprattutto con buonsenso.
Ma no, per Letta e soci è un discorso di destra. “Retorico ed autoreferenziale”, twitta Laura Boldrini. Mentre per Carlo Calenda, leader di Azione, è addirittura una “lista della spesa, che sembrava un intervento di Conte. Una noia mortale”.
Giuseppe Conte, invece, dal canto suo bolla come “vuota retorica” le parole del presidente del Consiglio Meloni alla Camera, come se le sue a Palazzo Chigi fossero state degne di essere ricordate sui libri di storia.
E pure l’intervento di Enrico Letta ha lasciato molto a desiderare: emozionante come fare il cambio di stagione negli armadi. Gli occhi di tigre chiesti ai suoi per affrontare la campagna elettorale, al momento si sono trasformati in occhi di scoiattolo.
Se questa è la sinistra e l’opposizione al governo Meloni, il Presidente del Consiglio potrà dormire sonni tranquilli. E pure il governo tutto che non durerà cinque anni, ma almeno un “Ventennio”.