I Pfas continuano ad inquinare le acque del Veneto e per questo bisogna contenere questa emergenza ambientale. Sono le premesse della relazione approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali, in merito al ciclo dei prodotti dai Pfas: le sostanze perfluoro-alchiliche, utilizzate nelle industrie chimiche per il trattamento di pelli e tessuti, ritrovate in grandi quantità nelle acque sotterranee, superficiali e potabili di 28 comuni, compresi nelle province di Padova, Verona e Vicenza (LA MAPPA). Ofcs Report aveva già documentato i consistenti rischi per la salute dei cittadini e il potenziale (non ancora del tutto dimostrato) carattere cancerogeno dei Pfas.
La novità principale della relazione adottata dalla Commissione sta nel considerare tali sostanze come “appartenenti alla classe dei composti organici alogenati – recita un passaggio del documento – con la conseguenza che rientrano nell’elenco delle sostanze pericolose”, come previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006 numero 152. In base a questa considerazione, la regione Veneto può intervenire per richiedere di mettere a norma gli scarichi dove risiedono le sostanze considerate come inquinanti e pericolose. Al contrario di quanto avrebbe dichiarato in un’audizione l’assessore regionale all’Ambiente, Gianpaolo Bottacin, sentito il 10 maggio del 2016 a palazzo San Macuto.
Un secondo snodo fondamentale, ricostruito dall’attività di indagine della Commissione, è “la certificazione che quasi il 97% dell’apporto totale di Pfas scaricati nel bacino idrico Fratta-Gorzone, nel vicentino, sia riconducibile alla Miteni”, società chimica di Trissino, al centro dell’attenzione giudiziaria sul caso Pfas. Ne consegue, secondo il documento approvato dalla Commissione, “che l’inquinamento è ancora in atto e che le misure poste in essere per il suo contenimento non siano state completamente efficaci”. È di pochi giorni fa la notizia dei nove avvisi di garanzia notificati dalla procura di Vicenza ad altrettanti manager della Miteni. La stessa società ha reso noto del ritrovamento, ad opera dei suoi tecnici, “di alcuni sacchi di plastica contenenti rifiuti industriali, a un metro e mezzo di profondità sull’argine del torrente Poscola, e depositati negli anni Settanta a margine dell’impianto dall’allora società proprietaria: la Rimar”.
Le sostanze perfluoro-alchiliche se si accumulano nell’organismo umano – come riportato dallo studio condotto dal CNR e rendicontato al ministero dell’Ambiente a partire dal 2012 – agiscono da interferenti endocrini e da sospetti cancerogeni e in caso di eccessiva presenza nel sangue provocano patologie cardio vascolari o al sistema endocrino e possono essere trasmesse, tramite la placenta, dalla madre al feto durante la gravidanza.
La peculiarità che contraddistingue i Pfas è il loro accumularsi nel sangue e nel fegato dove si legano alle proteine, diventando così più difficili da eliminare per l’organismo. Più le molecole sono a catena lunga e più si allungano i tempi di espulsione. Per questo motivo la Miteni, dal 2011, ha deciso di produrre solo molecole a catena corta (a 4 atomi di carbonio): i PFBA e PFBS. Nonostante ciò l’inquinamento delle acque persisterebbe e ha coinvolto negli anni un bacino potenziale di 250.000 persone, per le quali la Regione ha fatto partire un piano di sorveglianza e un altro di campionamento per il monitoraggio degli alimenti contaminati dalle sostanze.
Il documento della Commissione parlamentare servirà da stimolo a Ministero e Regione per prendere azioni ancora più efficaci per contenere l’emergenza sanitaria. Nelle stesse ore è stato dato il via libera dal Consiglio regionale all’istituzione di una commissione d’inchiesta sullo stato dell’inquinamento della falda. “Mentre a Roma verrà chiesto di inserire la relazione nei due rami del Parlamento per una discussione”, ha assicurato il presidente della Commissione Ecomafie, Alessandro Bratti.
Nelle ultime settimane c’è stato un rimpallo di responsabilità, denunciato dalle opposizioni e organi di stampa, tra il presidente della Regione, Luca Zaia, che sarebbe stato tenuto all’oscuro di una relazione dell’Arpav dai suoi assessori, che a loro volta avrebbero rinviato la palla ai dirigenti del settore sanitario veneto: in particolare al direttore dell’area sanità e sociale, Domenico Mantoan. Lo stesso maxi dirigente aveva ammesso di essere tra le persone “super esposte” ai Pfas per aver bevuto negli ultimi trent’anni l’acqua di Brendola (nel vicentino), accumulando sino a 250 nanogrammi per grammo di Pfas nel sangue.
Il deputato del M5S, Alberto Zolezzi, ha presentato delle interpellanze parlamentari per chiedere lumi sulla presunta plasmaferesi (una sorta di pulizia del sangue), fatta da Mantoan in un ciclo di cinque sedute dal costo di 3.000 euro. “Se ciò fosse vero – spiega Zolezzi – perché non dirlo ed estendere questa procedura ai numerosi cittadini del Veneto contaminati”.
Un’altra criticità emersa dalla relazione riguarda i 13 lavoratori della Miteni, di cui non si conoscono ancora le esatte condizioni cliniche. La Commissione ha riscontrato “una grave carenza metodologica su una relazione di un consulente dell’Università di Milano sul monitoraggio annuale effettuato verosimilmente per conto della società Miteni – si legge nel documento – posto che il monitoraggio dei lavoratori della Miteni ha un senso, non in relazione al rispetto di parametri astratti molto elevati, bensì in relazione alla verifica del loro effettivo stato di salute, dopo anni di assorbimento di sostanze perfluoro-alchiliche”. Nel rapporto fornito alla Commissione, ci sarebbero degli “omissis circa i dati relativi agli esami emato-chimici e urinari dei dipendenti nel periodo 2010-2015″.
I rischi da contaminazione da Pfas si estenderebbero anche in altre regioni. Il percolato contaminato dalle sostanze perfluoro-alchiliche – come denunciato più volte da Zolezzi – viene trasferito sino in Lombardia, in particolare nella provincia di Mantova e nella zona industriale di Castiglione delle Stiviere. “Aree già potentemente impattate a livello ambientale se consideriamo che a Castiglione si presentano le stesse caratteristiche di Trissino per quanto riguarda la falda superiore – afferma il deputato del M5S – in più devono essere pubblicati anche i dati riguardanti i Pfas nella filiera alimentare potenzialmente contaminata: nell’interesse di allevatori e agricoltori”.
Il M5S locale e i suoi membri in Commissione Ecomafie chiedono pertanto la chiusura della linea Pfas di Trissino, in attesa di concludere la bonifica attorno allo stabilimento, nell’interesse generale della salute pubblica e in osservanza del principio di precauzione. Nello specifico, i rappresentanti del Movimento sostengono che i rifiuti contaminati dovrebbero essere trattati con specifiche cautele e non esportati verso altri territori già inquinati. Dal canto suo la Commissione Ecomafie ha posto come priorità alla Miteni quella di intervenire direttamente all’origine del problema, “depurando tutti gli scarichi”: non solo quelli che sfociano nelle acque superficiali ma anche nella fognatura e nello stesso depuratore di Trissino.