Furti, terremoti e guerre non hanno impedito che arrivassero a noi: sono le opere esposte ne ‘La bellezza ritrovata – Arte negata e riconquistata in mostra’, dal 2 giugno al 26 novembre al piano terra di Palazzo dei Conservatori, in piazza del Campidoglio a Roma. Il patrimonio artistico italiano è continuamente sottoposto a furti, vandalismi e danneggiamenti dovuti a eventi naturali disastrosi ma anche alla mano dell’uomo. La mostra intende evidenziare e attualizzare l’impegno delle istituzioni a favore dell’arte con un’esposizione di opere che, a causa di vicende non sempre trasparenti, sono state per moltissimo tempo negate alla pubblica fruizione e spesso dimenticate nei depositi o in altri contenitori non accessibili al pubblico.
“Per contrastare il degrado si deve faticare e si deve lavorare tanto – spiega la curatrice Vega de Martini – senza mai smettere, nel contempo, di cercare di ricomporre ciò che sembrava essere andato perso. E alla fine, quando finalmente riusciamo a mettere insieme i pezzetti o a ritrovare opere finite chissà dove o abbandonate all’incuria, in quel momento pensiamo che è come se fossero stati gli oggetti a trovare noi e non viceversa”. La studiosa si riferisce agli elementi degli amboni della cattedrale di Benevento, che si pensava fossero andati perduti dopo i bombardamenti alleati nel settembre del 1943. Invece oggi sono esposti nella terza sala, dove due gufi e sette leoni stilofori di marmo troneggiano in fila, risalenti al 1311.
Le sezioni della mostra
La prima delle tre sezioni in cui è divisa la mostra, riguarda le opere recuperate a seguito di furti, e presenta alcuni dipinti di proprietà del Museo Nazionale San Matteo di Pisa, recuperati dai carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Firenze nel 2014, a conclusione di un’indagine iniziata in Olanda. Le opere, affidate nel 2002 a un restauratore toscano per farle sistemare, scompaiono. Per fortuna la direzione del Museo denuncia il fatto, accorgendosi che mancano all’appello, ma ormai l’artigiano le ha vendute e si scopre che sono finite a società di brokeraggio internazionali francesi e svizzere.
Il quadro de ‘L’Addolorata’ di Quentin Metsys, ad esempio, passa da un antiquario di Lucca e poi lo propongono in vendita per tre milioni di euro alla mostra mercato di Maastricht. Una volta acquistato, il dipinto rispunta fuori in Grecia. Alcune delle opere recuperate sono state ritrovate ancora nella disponibilità del restauratore indagato, altre presso antiquari e rigattieri della provincia di Lucca.
Alle opere salvate dalle zone terremotate dell’Italia centrale è dedicata la seconda sezione della mostra, mentre la terza si focalizza sui danni provocati dalle guerre, con l’esempio della cattedrale di Benevento. Dove si provvide a recuperare e mettere in salvo il patrimonio superstite, tra cui il cosiddetto Tesoro del Cardinale Orsini, ma gran parte del materiale fu accatastato e dimenticato, fino al ritrovamento del 1980.
Nella mostra di Palazzo dei Conservatori c’è un invito a ritrovare le opere d’arte e, insieme ad esse, il senso comunitario di appartenenza che rischia via via di andare perduto. Perché l’arte viene considerata l’ultima ruota del carro? Lo chiediamo per Ofcs.Report a Fabrizio Parrulli, comandante dei carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. “No, la penultima – risponde – perché adesso c’è una diversa sensibilità sull’arte anche a livello internazionale. Ci sono paesi insospettabili che hanno cambiato le proprie leggi, come la Svizzera, o che hanno aderito alla Convenzione Unesco del ’70, o che hanno stipulato un accordo con gli Stati Uniti per il recupero delle opere archeologiche: tutto questo ha cambiato non poco la situazione”. Le opere, quindi, stanno rientrando. “Sì, stanno rientrando – aggiunge Parrulli – ma è cambiata anche una sensibilità generale. Queste mostre però sono l’occasione per sensibilizzare il grande pubblico sulla tragedia delle asportazione, delle esportazioni illecite o degli scavi clandestini, che è un fenomeno ancora più evidente e che costituisce una grande sottrazione al patrimonio culturale italiano. Ma ciò che colpisce e deve colpire è lo scavo clandestino, perché non sapremo forse mai, se non quando effettuiamo qualche recupero, che cosa viene ritrovato”.
A chi è destinata di più questa mostra: ai turisti stranieri, che affollano Roma in questa stagione contribuendo al degrado della città, o a noi italiani, che migliori non siamo? “Assolutamente a tutti, anche se i cittadini italiani sanno bene che custodiscono un tesoro immenso. Certo è che gli stranieri a volte hanno dei comportamenti che vengono fuori sui giornali con una certa frequenza, però anche noi italiani abbiamo la necessità di approfondire il concetto dell’importanza del patrimonio culturale che deve essere salvaguardato da tutti”.
Ecco: cosa vuol dire ‘salvaguardia del patrimonio culturale’? “Tra le fortune che ho avuto c’è stata quella di recuperare molti oggetti: alcuni provenienti da chiesette di campagna o da piccoli paesi. La restituzione di piccoli oggetti devozionali è veramente un momento toccante, non tanto per il valore intrinseco degli oggetti, ma in queste occasioni hai la sensazione che se i cittadini, soprattutto di una piccola comunità, sono sensibili al problema – e spessissimo in Italia lo sono – le opere sono più tutelate, nel senso che c’è maggiore possibilità di prevenzione. Perché tutti sanno che sottrarre un’opera da una chiesa, per esempio, o da un piccolo museo, vuol dire portare via un tassello della cultura di quel posto, di quella comunità”.
Nella seconda sezione della mostra sono esposte opere salvate dalle zone terremotate dell’Italia centrale, in particolare delle Marche. Si tratta di capolavori della rete dei Musei Sistini del Piceno e di un dipinto della chiesa di Sant’Angelo Magno di Ascoli custodito nel deposito del Forte Malatesta, tutti provenienti da alcune sedi danneggiate e chiuse a causa del sisma. Perché mettere in mostra opere mortificate dal terremoto? “Le intenzioni degli organizzatori mi pare che siano chiare: far capire che si tratta di un patrimonio che appartiene a tutti. Noi abbiamo offerto una collaborazione subito dopo il momento della tragedia per individuare i depositi dove mettere in sicurezza le opere che erano esposte agli agenti atmosferici e portandole via dai luoghi a rischio”.
“E questa – continua il comandante Parrulli – è solo una parte del nostro lavoro, che noi svolgiamo di concerto con le soprintendenze, mentre il nostro ruolo principale è quello di recuperare le opere attraverso indagini di polizia giudiziaria”. “Una mostra come questa – conclude – serve proprio a sottolineare che il patrimonio culturale è di tutti e che occorre salvaguardarlo, magari raccogliendo fondi utili a restaurare le opere danneggiate, ma anche e soprattutto per sensibilizzare il grande pubblico che un’opera di Amatrice, che era valorizzata a livello locale, appartiene in realtà a tutti quanti noi.
Silvia Dotan-Cattin