Mi piace ragionare sui fatti e questi dicono che la presidenza Obama è stata fallimentare. Dunque, seguendo la traccia di Eric Zuesse – che è la stessa da noi indicata da mesi – partiamo dai suoi economisti top (A. Krueger e L. Katz) alla Casa Bianca, che oggi affermano che durante il doppio mandato obamiano il 94% dei posti di lavoro creati sono part time, a cui va aggiunto che detti impieghi sono di basso livello (inservienti, baristi etc..). Ciò viene puntualmente riflesso nelle statistiche secondo cui nel 96% dei distretti Usa la povertà è cresciuta sotto Obama. A questo aspetto, dirimente nella scelta degli elettori Usa a favore di Trump, dobbiamo aggiungere che a valle dello scandalo subprime emerse un coacervo di connivenze e reati penali tanto smisurato da giustificare un forte giro di vite di parte dei regolatori. Invece, con Obama presidente abbiamo tristemente dovuto rilevare che il Dipartimento di giustizia ha toccato il minimo di inchieste penali sia per le istituzioni finanziarie che per i colletti bianchi, top managers, amministratori etc.
Chiaramente Obama ha favorito le lobby finanziarie democratiche, figlie dell’abrogazione del Glass Steagall Act voluta da Bill Clinton nel 1998 e che 10 anni dopo portò allo scandalo dei mutui facili e spesso criminali.
Ma non è tutto. Non si è il considerato il danno che le politiche obamiane hanno fatto in paesi esterni agli Usa (Honduras, Nicaragua, centro America) in genere con golpe e creazione di squadre della morte addestrate dagli Usa. O anche in Ucraina, Libia, Siria. O il golpe in Italia del 2011. Tutti ribaltamenti socio-politici finalizzati non ad un progetto pragmatico basato su specifici interessi economici Usa, ma ad ingenerare il caos, solo più avanti scopriremo quale era il vero fine (chi scrive teme che il duo Clinton-Obama fosse un tutt’uno con i poteri ex coloniali europei interessati ad avere il proprio spazio vitale in Europa e nel mediterraneo, anche spiazzando gli Usa, dietro pagamento sotto forma di finanziamenti alla fondazione Clinton e di avallo mediatico e politico di tutte le intraprendenze americane nel mondo vestite da globalizzazione).
Peccato che questo danno sia stato subito indirettamente anche dagli elettori Usa, sotto forma di violenza non solo mediatica dei profughi che a causa delle destabilizzazioni sopra citate sono inopinatamente confluiti nei vari paesi occidentali. E’ proprio la non accettazione di tali insulse politiche che ha portato Trump alla vittoria.
Chi scrive ritiene che siamo all’alba di una nuova era, che ci può distanziare dalla confusione ideologica neocon mescolata ad interessi di casta che hanno generato almeno due presidenze non solo estensivamente guerrafondaie, ma soprattutto non pragmatiche, in particolare quella di Obama. Come ben illustrato dal più influente politologo dello scorso secolo, Henry Kissinger, oggi gli Usa con Trump sperimentano qualcosa di inedito per le società occidentali, un politico non legato ai partiti ed economicamente autonomo nei confronti dei poteri politici tradizionali (forse escludendo l’esempio di Berlusconi nel ’94, dai cui errori si potrà trarre grande insegnamento). Ossia, bisogna dargli tempo e supporto. Lo scopo è smontare quella grande sovrastruttura di connivenza politico-economica che ha ingenerato una società post-capitalistica perfettamente insostenibile per via sia dei suoi eccessi che degli interessi di parte: le cosiddette rendite, che si sono cristallizzati negli anni sulle spalle dei contribuenti-semplici cittadini a vantaggio di pochissimi (non a caso già Eisenhower mise in guardia sulla pericolosità del complesso economico-militare). Oggi che la crescita langue, l’alternativa a Trump sarebbe la cannibalizzazione globalistica (clintoniana) dei sistemi socio economici liberali, ben provata dalla esponenziale disintegrazione della classe media occidentale degli ultimi 8 anni.
Un ipotetico asse con Russia ed Israele in teoria garantirebbe la copertura geostrategica planetaria in grado di modificare gli equilibri post Yalta, con nuovi equilibri socio-economici imposti dall’asse dominante con a capo gli Usa in grado di trarre nuova linfa allo sviluppo occidentale per i prossimi 50 anni. In tale contesto la Cina si trasformerebbe in un dettaglio superabile, mentre l’Ue franco-tedesca e le petromonarchie del Golfo diventerebbero letteralmente insignificanti.