“Bisogna smetterla di ingannare i poveri malati, i disabili e l’opinione pubblica, spacciando la morte per soluzione liberatoria quando essa è anche la morte della libertà”. A dirlo è Toni Brandi, presidente di Pro Vita Onlus, in un’intervista a Ofcs Report.
Dopo anni di discussione il Parlamento sembra finalmente aver imboccato la strada giusta per approvare una legge sul Fine Vita. Come giudica il disegno di legge approvato alla Camera?
“Il ddl è sbagliato, pericoloso, ambiguo e scritto male. Riguarda situazioni che hanno poco o nulla a che vedere con i casi pietosi di eutanasia o di suicidio assistito che sono stati strumentalizzati in modo da orientare l’opinione pubblica. Con questa legge i medici sarebbero generalmente obbligati a eseguire una volontà non attuale e non realmente informata, anche se ciò significasse causare la morte di quella persona per disidratazione. Idratazione e nutrizione attraverso dispositivi medici sono inclusi infatti nei trattamenti che si possono rifiutare o sospendere. Purtroppo quasi nessuno sa però cosa sia morire per disidratazione: lo stomaco si disidrata e le mucose si spaccano. Un’orribile agonia che può durare fino a 15 giorni. Chiunque, dopo la sospensione dell’idratazione, se potesse esprimersi in quel preciso istante, chiederebbe acqua per bere. Ma non potrà farlo, perché avrà consegnato la sua volontà a un pezzo di carta magari scritto molto tempo prima, quando non aveva alcuna idea di come avrebbe reagito alla malattia e di cosa sia trovarsi in stato di incoscienza e morire per disidratazione. Inoltre le ambiguità e le incongruenze dell’attuale testo sono davvero tante. Un solo esempio: si introduce il divieto di accanimento terapeutico limitandolo però ai casi di malattia terminale. Ora, a parte il fatto che un siffatto divieto è inutile, in quanto è già parte integrante della deontologia medica, perché esso non vale anche per altre situazioni di malattia o disabilità?”.
Tra i nodi più contestati c’è la richiesta, respinta, delle strutture cattoliche di non rispettare le Disposizioni anticipate di trattamento. Perché l’ha sostenuta?
“Perché il ddl pone gravi problemi di coscienza a tutti quei medici o operatori sanitari che credono nell’indisponibilità della vita e nel fatto che ogni persona, anche il disabile grave, ha una sua dignità intoccabile. Secondo il ddl, il paziente potrebbe rifiutare, in anticipo, i trattamenti salvavita, anche quando le condizioni oggettive e la deontologia medica consiglierebbero di salvargli la vita. Cosa potranno fare quei medici o strutture sanitarie che, in sintonia con le loro più profonde convinzioni morali o religiose, si rifiutano di lasciar morire i loro pazienti, magari per disidratazione? E non parliamo soltanto delle strutture cattoliche. Potrebbero essere ebraiche, protestanti o semplicemente contrarie alla cultura della morte. Senza l’obiezione di coscienza queste persone sono esposte alle sanzioni della legge, semplicemente per aver voluto rimanere fedeli alla missione primaria della medicina, cioè curare e salvare vite”.
L’altro punto è la definizione di nutrizione e idratazione come cure e quindi come terapie possibili da rifiutare. Lei è d’accordo?
“Anche qui c’è molta confusione. Dire che idratazione e nutrizione artificiale sono trattamenti sanitari alla stregua degli altri è fuorviante. In realtà, la questione fondamentale è che non si possono considerare semplicemente trattamenti sanitari liberamente rifiutabili perché esse rappresentano sempre anche dei sostegni vitali senza i quali la persona muore. Da questo punto di vista, il ddl compie l’errore di non fare alcuna distinzione sostanziale tra trattamenti salvavita e tutti gli altri trattamenti. Non solo: nell’ipotesi dell’idratazione e della nutrizione le conseguenze sono ancora più gravi poiché sono da considerare generalmente come mezzi salvavita proporzionati e ordinari rispetto alle condizioni del paziente che non possa nutrirsi e idratarsi autonomamente”.
Perché ritenete questa legge eutanasica, nonostante da più parti sia stato garantito il no a ogni forma di eutanasia da introdurre nel nostro Paese?
“Come spesso accade sui temi etici, ciò che non si dice esplicitamente può introdursi in maniera più subdola. Il ddl sembra vietare le pratiche di eutanasia attiva, cioè ad esempio la somministrazione di veleni o farmaci letali. Anche per questo motivo si vede quanto siano strumentali casi come quello di Dj Fabo, che in realtà sono probabilmente esclusi dalle ipotesi del ddl. Tuttavia ricordiamo che è pacifico che la morte si può causare anche per omissione, cioè non mettendo in atto un comportamento doveroso in grado di salvare la vita di una persona. Questa ipotesi è ricorrente nel diritto penale. Il ddl, lasciando alla pura autodeterminazione il rifiuto anche preventivo di ogni mezzo salvavita, obbliga il medico a tenere un comportamento che, prima dell’eventuale approvazione di questa legge, poteva essere un grave reato, omicidio del consenziente, ad esempio, qualificabile come “eutanasia omissiva”. Non è casuale che il ddl preveda esplicitamente che il medico sia esente da responsabilità penale allorché esegue le Dat: c’è la chiara consapevolezza che il medico potrebbe essere punibile per non aver impedito la morte di una persona”.
I Pm di Milano hanno chiesto l’archiviazione per Marco Cappato, accusato di istigazione al suicidio, perché il suicidio assistito non viola il diritto alla vita, quando questa è ritenuta intollerabile e non più dignitosa da una persona malata. Molti deputati lo ritengono un’invasione di campo da parte della Magistratura. È così?
“Esattamente. Siamo purtroppo abituati in Italia a magistrati che pretendono di esercitare sostanzialmente poteri legislativi. In questo caso i Pm hanno oltrepassato le loro competenze, per il seguente motivo: sostengono che “Le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso”. Ora, queste condizioni non sono per nulla presenti nel codice penale, il quale descrive la fattispecie di reato in modo molto chiaro: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione”. Eventuali motivi, più o meno apparentemente nobili e pietosi, possono al limite costituire una circostanza attenuante ma non escludere la sussistenza del delitto. C’è di più. I Pm di Milano, menzionando tra le condizioni in cui non ci sarebbe violazione del diritto alla vita anche l’ipotesi in cui il soggetto ritenga la sua vita “indegna” di essere vissuta, si comportano come se avessero praticamente abrogato, se fosse possibile, il reato di aiuto al suicidio: qualunque persona che arrivi al gesto tragico ed estremo del suicidio (assistito ndr) giudicherebbe la sua vita “non più degna di essere vissuta”. Basandoci sui principi aberranti enunciati dai Pm, il reato in questione diverrebbe inapplicabile per chiunque”.
Eppure Cappato, come Mina Welby, hanno già annunciato prossimi viaggi in Svizzera. Lei sa che ci sono decine di persone che ogni giorno chiedono di poter ricorrere all’eutanasia? Cosa si sente di dire a chi accompagna queste persone a morire in Svizzera?
“Se sono persone che utilizzano questi casi per fini politici, come Cappato, direi loro: non ingannate i poveri malati e disabili e l’opinione pubblica. Spacciate la morte per soluzione liberatoria quando essa è anche la morte della libertà. Poi strumentalizzate questi casi pietosi per promuovere leggi che con quei casi hanno poco a che fare. Chiunque desidera morire è certamente degno della nostra compassione e non bisogna sottovalutare il peso della sofferenza e della disperazione. Tuttavia il problema, il male, da eliminare, è la sofferenza e la disperazione, non la persona in sé. Bisogna alleviare la sofferenza con la terapia del dolore e sconfiggere la disperazione accompagnando amorevolmente malati e disabili, ma non possiamo eliminare i disabili e i disperati. Quando ci sono buone cure palliative, l’accompagnamento e l’assistenza caritatevole, soprattutto della famiglia, le richieste di morte scendono a zero. Purtroppo in Italia la legge che disciplina le cure palliative non è pienamente applicata e spesso la famiglia riceve poco sostegno. Questi sono i punti che dovrebbero essere affrontati dalla legge”.
@PiccininDaniele