La recente recrudescenza di attacchi condotti dalle forze israeliane contro obiettivi sciiti legati a Hezbollah e le brigate Quds dei Pasdaran iraniani, hanno provocato un’ulteriore innalzamento della tensione nell’area mediorientale.
Nel corso dei raid, compiuti con droni e cacciabombardieri, sono stati colpiti obiettivi militari di prim’ordine, primo dei quali una base per la fabbricazione di aerei senza pilota e missili balistici a medio raggio situata nella periferia sud di Beirut e rifornita con materiali provenienti dall’Iran.
Ma è dal mese di luglio che, a seguito di informazioni dell’intelligence dello Stato ebraico, l’esercito e l’aviazione israeliani martellano, con cadenza quasi quotidiana, le basi delle milizie sciite legate a Teheran in territori siriano, irakeno e, in ultimo, libanese.
La strategia è frutto di un più ampio piano di indebolimento della presenza iraniana nell’area teso ad evitare attacchi contro il territorio israeliano da parte delle milizie sciite inizialmente impegnate contro l’Isis ma ricondizionate dai vertici di Hezbollah in funzione anti-israeliana.
E proprio a seguito dell’attacco di Beirut, il numero due di Hezbollah, Naim Qassim, ha promesso che Israele riceverà una durissima risposta agli attacchi condotti in Libano escludendo comunque il ricorso alla guerra totale. Un “colpo studiato”, sempre secondo Qassim, potrebbe essere inferto allo Stato ebraico molto presto.
Secondo analisti israeliani, dando credito alle minacce proferite da Hasan Nasrallah durante un suo intervento televisivo, i terroristi di Hezbollah starebbero pianificando un massiccio attacco contro lo stato ebraico, maggiore dei precedenti, che condurrebbe comunque ad un conflitto regionale dopo l’inevitabile reazione israeliana contro il Libano.
Le ipotesi di un attacco
Una situazione incandescente che conduce comunque a riflettere sulle reali possibilità dei miliziani di Hezbollah sostenuti dall’Iran, di portare realmente a termine un attacco contro Israele.
Al netto dei piani conclamati, o scoperti dall’intelligence israeliana, di attacco con droni carichi di esplosivo o il lancio di ordigni con testate a lungo raggio, le minacce potrebbero trovare sfogo anche con le modalità classiche della “guerriglia” o del blitz.
In primo luogo occorre considerare la capacità di Hezbollah a nord, così come di Hamas nella striscia di Gaza, di essersi dotato di un sistema di gallerie-cunicoli in fase di continua espansione in termini di accessi al territorio israeliano. Sebbene l’Israel defence forces abbia compiuto diversi sforzi per individuare ed abbattere la complessa ragnatela di cunicoli, nuovi scavi sono in atto, tra i quali molti di questi quasi sotto gli occhi di un’imponente Unifil, la missione militare di pace che dovrebbe agire in funzione di cuscinetto tra Libano e Israele.
I tunnel costituiscono il vero incubo per l’intelligence israeliana. L’indubbia preparazione militare di truppe scelte dei Pasdaran iraniani, operanti in zona, unita ad un libero accesso oltre confine condurrebbero ad una situazione di emergenza quotidiana le popolazioni dei villaggi israeliani vicini al confine, divenendo incontrollabile con una più vasta infiltrazione militare sciita.
Un secondo punto focale è costituito dalla sinergia sviluppatasi tra le milizie di Hezbollah e quelle di Hamas e Jihad islamica in relazione alla striscia di Gaza.
Piani di azione coordinati sono già stati stilati dalle leadership e dagli addetti militari delle tre organizzazioni terroristiche e conterrebbero indicazioni per attacchi in simultanea con l’infiltrazione di miliziani tramite i già citati tunnel ed il lancio contemporaneo di razzi dal sud e missili dal nord contro gli insediamenti ebraici e gli accasermamenti dell’esercito israeliano. Il tutto per stringere Israele in una morsa da nord a sud e disperderne le forze militari.
Una terza ipotesi è l’uso indiscriminato di attentatori suicidi, la cui disponibilità è amplissima sia tra i giovani estremisti di Gaza così come tra i profughi dei campi palestinesi del Libano, tra i quali spicca quello di Ayn al Hilweh situato nel sud del paese dei cedri, da anni fucina di una nuova generazione di terroristi tra i quali numerosi elementi del Daesh fuggiti dalla Siria e rifugiatisi in Libano in veste di profughi.
Ma anche acqua e fuoco, che costituiscono un’ulteriore ipotesi, sono da tenere in debita considerazione. I bacini idrici che riforniscono le colonie dal nord al sud di Israele hanno da sempre costituito un target allettante per gli estremisti di tutte le formazioni terroristiche. L’avvelenamento di anche solo uno di questi provocherebbe danni inimmaginabili oltre che seminare il panico tra la popolazione. Ed anche la tattica della “jihad incendiaria”, già sperimentata nel corso degli ultimi anni anche contro terreni coltivati, produrrebbe seri problemi all’approvvigionamento alimentare del Paese e un serio danno economico al settore agricolo.
Uno scenario inquietante, quindi, in parte suggerito dai manuali della jihad editi e distribuiti dallo Stato Islamico e “fatti propri” dalle milizie ostili ad Israele, ma per altri versi suggerito dall’esperienza di fonti locali ben informate sulla conduzione dell’eterna guerra contro Israele.