La Festa della donna è passata. Ma rimangono i postumi. Come quando si prende una sbronza. In questo caso mediatica, ma senza pari.
Retorica in tutte le salse, incontri, interviste, discorsi ufficiali. Quest’anno quasi tutte manifestazioni sulla piattaforma online Zoom, il primo 8 marzo dell’era Covid non esula dai protocolli sanitari.
La mimosa nel vasetto è già appassita, è un fiore che reciso dura poco, come le belle parole che ogni anno tutti pronunciano per celebrare l’universo femminile, forse lo hanno scelto per questo come simbolo.
E non sono mancati i politici, figurarsi, quando c’è da fare passerella fanno a capocciate.
Hanno lodato le donne in lungo e in largo.
Di sopra e di sotto. Anche di lato.
Anche quelli che per la fretta hanno “dimenticato” di prenderle in considerazione per la carica da ministro nella composizione del governo Draghi.
Salvo poi salvarsi in calcio d’angolo e recuperare le quote rosa nelle nomine dei sottosegretari.
Ma a parte la mimosa appassita e i fiumi di parole, cosa resta di questo 8 marzo?
Quali i postumi?
Pagine strappate rabbiosamente ai dizionari, targhe stradali imbrattate e per chi ha saputo approfittare dell’offerta una bella scorta di assorbenti femminili.
Ma andiamo con ordine.
A finire sotto la scure dell’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, affiancata dalla scrittrice Murgia e un altro bel gruppetto di barricadere, è stato infatti il dizionario dei sinonimi Treccani. Tutta da rivedere la definizione della parola “donna”. Offensive le parole collegate. Sessiste. Al rogo senza appello.
Ed è sempre la Boldrini a denunciare con forza il vero problema femminile. Il costo degli assorbenti. “Il ciclo è un lusso”, dice. E plaude all’offerta promozionale della Coop, guarda caso, per la ricorrenza dell’8 marzo. E precisa che la sua battaglia per il contenimento del costo è iniziata da tempo. Tra un inginocchiamento e l’altro alla deputata del Partito Democratico non sfugge nulla.
Altro che. E noi che pensavamo che il problema delle donne fosse la violenza, fisica o morale. La disparità di diritti. La pandemia che ha mietuto vittime nel mondo del lavoro femminile. Ci siamo sbagliati.
Sono gli assorbenti.
E nel mirino delle più agitate è finita per l’occasione anche la toponomastica milanese, che per usare un linguaggio politicamente scorretto andrebbe ribattezzata “topanomastica”.
Per la gioia delle femministe dei centri sociali meneghini che si sono prese la briga di scarabocchiare le targhe delle strade.
Troppi nomi maschili. Si cambia.
E si sono spinte più in là. E sbianchettando qua e là, “via della Spiga” l’hanno trasformata nell’esaltazione più scurrile che ci sia dell’organo femminile.
Questi i postumi di un 8 marzo che ha visto l’Italia divisa in zone.
Rosse, gialle e arancioni. Ma c’è chi ha voluto essere originale. E strappando i fogli della Treccani, scarabocchiando le targhe delle vie a Milano, e ponendo l’accento sul problema degli assorbenti ha voluto festeggiare in zona ridicola.
E c’è riuscito benissimo.
Ma c’è anche chi non si è accontentato del ridicolo e neanche dell’indecenza, arrivando a cavalcare la blasfemia.
Processione choc delle femministe a Roma di fronte alla chiesa di piazza Sempione.
Hanno sfilato portando sulle spalle una rappresentazione della Madonna a forma di vagina.
Ne vogliamo parlare?
Non ci sono parole?
Io dico che volendo qualche parolaccia si trova.