“Le dinamiche da analizzare sono diverse e tra queste vi è la percezione errata del proprio corpo, della propria figura. Queste ragazze si vedono grasse, quando in realtà non lo sono. Per loro perdere peso significa tutto. E una volta raggiunto il loro obiettivo si sentono onnipotenti, perché credono di aver acquistato il controllo di se e del proprio corpo quando invece non è così. Hanno un’autostima molto bassa poiché legata al cibo e non alle loro qualità, alle loro potenzialità e capacità. La loro personalità è fragile, in continua competizione con se stessa e non realizzata se non nel loro mondo ideale”. A parlare è la dottoressa Angela Sgambati, psicologo clinico e consulente familiare, che in un’intervista con Ofcsreport ha spiegato il meccanismo che scatta nel cervello di chi soffre di anoressia.
Quali sono sintomi di questo disturbo alimentare?
“È possibile individuare i sintomi dell’anoressia già in ambito familiare, in particolar modo nella modalità in cui la ragazza mangia o meglio non mangia. C’è il rifiuto, per esempio, di sedersi a tavola insieme agli altri membri proprio per evitare di dare nell’occhio. Molto spesso, inoltre, studi scientifici hanno dimostrato come le ragazze anoressiche hanno in famiglia un componente (di solito la madre) che tiene in modo particolare all’immagine corporea. Il messaggio che quindi viene trasmesso è “più sei magra, più vali”. Tutto questo spinge alla competizione, ad avere enormi e sbagliate aspettative su se stessi.
Per guarire basta la sola volontà?
“Quando si arriva a certi livelli, quando i danni fisici sono evidenti, c’è l’obbligo del ricovero poiché la morte comincia a rientrare tra i possibili rischi. Il controllo medico, quindi, è importante. Lo è naturalmente anche quello psicologico per rafforzare l’autostima, ristrutturare la personalità ed evitare eventuali ricadute che si possono verificare soprattutto in seguito ad eventi traumatici. Quello psicologico, comunque, è un tipo di aiuto che deve interessare non solo chi vive questo disturbo in prima persona, ma anche tutta la famiglia, dato che è proprio da quest’ultima che deve provenire l’aiuto costante”.